È una fiammeggiante e altera duchessa d’Alba ad accogliere gli spettatori. Ci fissa negli occhi con un’espressione attonita, mentre con la mano ingioiellata indica imperiosamente la scritta ai suoi piedi che dice: “solo Goya”. Come se volesse dirci che solo un maestro come lui poteva fare un ritratto così, capace di mettere a nudo l’animo umano. Quel quadro, datato 1797 e conservato alla Hispanic Society of America di New York, era l’immagine guida della mostra che la National Gallery di Londra dedica ai ritratti di Goya che ha chiuso i battenti lo scorso 10 gennaio. E ora è al centro del docufilm Goya visioni di carne e sangue che Nexo Digital porta nelle sale italiane il 2 e 3 febbraio.
La bella e capricciosa nobildonna si presenta avvolta nella mantiglia di pizzo tipica delle vedove aristocratiche e con la fascia rossa di “sindaco” che aveva ereditato. Se non fu amante, certamente fu musa e sodale del pittore spagnolo che ne ritrasse la snella figura e gli «occhi metallici», come ha raccontato Lion Feuchtwamger nell’affascinante romanzo storico Goya o l’amara via della conoscenza ora riproposto da Castelvecchi. Un libro che ci introduce direttamente in quella vita di intrighi e di rituali feudali in cui il pittore di corte Francisco Goya (1746-1828) fu immerso, cercando ogni giorno il modo per portare avanti la propria ricerca, nonostante gli obblighi verso il potere e i tribunali dell’inquisizione, fino al XIX secolo, ancora feroci in Spagna. Il risultato, oltre ai Capricci (1798), ai Disastri della guerra (1820) e alle tele d’ispirazione storica e mitologica, è questa straordinaria serie di settenta ritratti che si dipana nella mostra della National Gallery, raccontata con passione da critici e studiosi– fra cui il curatore della mostra Xavier Bray e il direttore della National Gabriele Finardi – nel film diretto da David Bickerstaff.
E mentre sfilano come marionette, aristocratici imparruccati e intellettuali illuministi, soldati blasonati e re che appaiono in tutta la loro brutale rozzezza nonostante l’eleganza delle vesti, lo sguardo si posa su alcuni ritratti più intimi, che trasmettono la presenza viva di timide fanciulle come Teresa Sureda e Francisca Sabasa, sposa appena sedicenne o di giovani donne velate di tristezza come Antonia Zarate. Analogamente ai ritratti degli amici più cari a Goya, sono rappresentate nella loro individualità e grazia, quasi con pudore.
Non troviamo traccia qui della fatuità che aleggia sul volto di don Luis, ritratto insieme alla sua famiglia nella tela prestata dalla Magnani Rocca, ma neanche di quell’aria eterea che ha la colta e illuminata duchessa di Osuna, figura ideale a tal punto da sembrare quasi astratta, evanescente. Quasi che attraverso queste immagini Goya esprimesse una sua acuta e sottile critica, non solo all’aristocrazia feudale, ma anche della nuova e fredda ragione illuminista.
Goya era entrato in contatto con le nuove idee francesi proprio grazie alcuni aristocrati illuminati come gli Osuna e fu profondamente influenzato dai nuovi ideali liberali, di secolarizzazione e apertura della società, ma ne vide anche i limiti di una ragione fredda, che rischia di diventare astratta. Come nel film racconta Filardi Francisco goya può a buon diritto essere considerato l’iniziatore dell’arte moderna. Anche perché come scrisse Matheron nel 1858. “Insieme ai suoi colori macinava idee”. “La pittura non è mai stata un semplice gioco, pura distrazione, elemento decorativo, arbitrario. L’immagine è pensiero e rappresenta sempre una visione sul mondo e sugli uomini. Che ne sia consapevole o meno un grande artista è un pensatore di alto livello”, scrive Todorov nel saagio Goya (Garzanti).
Esprimendosi con il linguaggio universale delle immagini Goya racconta la buona società madrilena ma ci dice anche della suo intimo riufiuto del conformismo che la caratterizzava, ci parla della lotta degli ilustrados, gli illuminati spagnoli, contro l’oscurantismo ma anche della violenza gratuita della guerra, cominciata con l’invasione napoleonica del 1808. Intrecciando il racconto delle opere di Goya alla sua biografia il film di David Bickerstaff offre anche un interessante affondo sull’ultimo drammatico periodo dell’esistenza del pittore spagnolo, segnato fin dai 43 anni da una grave sordità, raccontando come l’artista riuscì, nonostante tutto, a trasformarla da ostacolo in opportunità per liberarsi dalle convenzioni pittoriche del tempo e lavorare maggiormente di immaginazione.
Seguendo solo la propria esigenza di libera espressione, emancipandosi dalle imposizioni della committenza.
Del dolore, della lotta, che gli costò tuttavia l’isolamento causato dalla sordità e dalla malattia ci dicono oltre alle pitture nere, i drammatici autoritratti finali, uno in particolare in cui il pittore si rappresenta in tutta la propria fragilità di malato mentre il medico cerca di dargli da bere. Nel film questa immagine finale appare dopo una serie di autoritratti della maturità e un curioso ritratto giovanile – che campeggia anche nella locandina del film – in cui Goya appare in pantaloni attillati e giubbino alla moda con un grande cappello sormontato di candele per poter dipingere anche di notte. Ci guarda in tralice, con aria complice come invitandoci ad entrare nel suo mondo di immagini che ci parlano ancora oggi.
Per vedere tutte le sale in cui ilfilm è in programmzione basta andare sul sito di Nexo Digital. In particolare “Goya-Visioni di carne e sangue” arriva a Cinemazero di Pordenone martedì 2 febbraio alle 21
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