Deve succedere qualcosa perché il cimitero liquido voluto dagli egoisti d’Europa possa realizzarsi senza troppo disturbo: un lento, sottotraccia, processo di impermeabilizzazione dei cittadini europei. Cioè noi. A ben vedere. Riuscire a tenere ben chiusi tutti i pori in cui possa entrare umanità e misericordia (nel senso laico di dividersi lo stesso cuore) per normalizzare la tragedia. Se accade succederà che i rifugiati si trasformeranno definitivamente in puzzolente sacchetto dell’umido, se noi permetteremo un’etica differenziata.
Succede che se blocchi tutte le strade ad un popolo di genitori spaventati semplicemente aprirai nuove vie sempre più pericolose. Non si ferma il terrore, non si ammansisce: al massimo si nasconde ma continuerà a gocciolare nelle tubature più sommerse. Così un popolo vomitato dal proprio Paese in guerra se è arginato con i muri, le quote, il filo spinato o i respingimenti in qualsiasi forma non dovrà fare altro che trovare un altro pertugio, inventarsi una strada, immaginare un passaggio lì dove nessuno potrebbe prevederlo: così si finisce a fotografare padri appesantiti dal dolore che trascinano figli guadando il fiume appesi ad una corda come scimmie.
C’è solo un modo perché questa Europa non si inzuppi di vergogna: che nonostante tutto noi, questa mattina, ci prendiamo il nostro treno, saliamo sul solito autobus e timbriamo il biglietto non accettando di diventare muti, sordi, impermeabili e distratti. Ogni morto che non ci sfiora è una stelletta in più sulla divisa dei burocrati per cadaveri da portare in discarica. Se noi ci atrofizziamo loro si rivitalizzano nell’impegno di murarsi vivi per potersene fregare dei morti.
Ecco: stamattina basterebbe pensarci un minuto, provare a parlarne alla macchinetta del caffè, condividere una foto qualsiasi di quelle che sanguinano dolore. È resistenza, partigianeria: riuscire ad essere buoni significa armarsi per provare a resistere al fronte. Eroismi strabici, certo, in un tempo di cuori invertiti.
Buon giovedì.