In Ungheria hanno pensato al filo spinato. Un muro, di filo spinato, per pescare i rifugiati senza rifugio che scappano dalla guerra cercando la strada per l’Europa. Come salmoni, mentre risalgono la corrente per uscire dal gorgo di una morte quasi certa, rimangono impigliati nella rete che pesca i fragili. Chissà come ci si sente a pescare facile, solo i più deboli e stanchi con i figli sulle spalle o una vecchia madre trascinata per mano.
I muri, i fili spinati, i manganelli sui denti, le famiglie come cenci che caracollano appese alla corda sopra al fiume di Idomeni: questa Europa è una via crucis sparpagliata in giro ma non c’è nemmeno l’odore del dolore o dell’incenso. Al massimo gocciola la contrizione misurata in salsa istituzionale; quella che usano i prefetti ogni 25 aprile prima di dare il via al prosecco e alle patatine.
Mi chiedo, ad esempio, cosa ne direbbe il Piccolo Principe dei carri armati che sono arrivati a vigilare sul filo spinato ungherese. Se non troverebbe anche lui così tragicamente ridicolo quest’adulto che ha bisogno di un cingolato per spaventare un bambino già spaventato dal fiatone del padre; mi chiedo se davvero non ci starebbe un pianeta in più per il prepotente che arma i missili per disfarsi dei moscerini.
«Da milioni di anni i fiori mettono le spine. Da milioni di anni le pecore mangiano ugualmente i fiori. E non è forse una cosa seria cercare di capire perché i fiori si danno tanta pena per mettere spine che non servono a niente?» dice il Piccolo principe. Qui dopo le spine ci hanno messo i cannoni. Non hanno imparato niente. Cacciano le volpi, piantano baobab per difendere giardini troppo piccoli e bevono per dimenticare di aver bevuto.
Però quasi tutti fingono di averlo letto, di averlo amato. Il Piccolo Principe.