«Sono un giornalista che non è legato a niente e a nessuno se non alla propria professione» scrive dalla prigione il foto giornalista egiziano Mahmoud Abu Zeid, in arte “Shawkan”. Mahmoud è colpevole di aver scattato alcune foto durante lo sgombero violento da parte delle forze di polizia di un sit-in dei Fratelli musulmani. È in carcere da oltre tre anni, è stato ferocemente torturato e sta ora attendendo il verdetto che potrebbe portarlo anche alla pena di morte. È uno dei 20 giornalisti che sta scontando una pena in Egitto a causa del proprio lavoro.
Nella giornata mondiale della libertà di stampa – che si celebra oggi, 3 maggio – c’è poco da festeggiare. Per l’occasione Amnesty International ha deciso di puntare i riflettori su nove storie di giornalisti perseguitati, minacciati, imprigionati o addirittura uccisi nel mondo. C’è il caso dei tre giornalisti camerunensi (Baba Wame, Rodrigue Tongue e Félix Ebolé Bola) che rischiano una condanna per il rifiuto di rivelare le fonti nell’ambito di un inchiesta che stavano conducendo sui rapporti tra le forze di sicurezza del Camerun e gruppi armati della Repubblica Centrafricana. C’é Khadija Ismayilova, azerbaigiana, autrice di un dossier sulla corruzione della famiglia del Presidente Ilham Alyev, che sta scontando una condanna di sette anni e mezzo di carcere (è stata arrestata nel 2014) con l’accusa di corruzione e evasione fiscale. C’è poi la storia ancor più tragica della messicana Anabel Flores Salazar, cronista giudiziaria rapita dalla sua abitazione, nello stato del Veracruz, e uccisa nel febbraio del 2016. é stata trovata dalle forze di polizia legata e seminuda.
Dall’ultimo rapporto dell’associazione Reporter senza frontiere (Rsf) emerge un quadro inquietante, secondo il quale la libertà di stampa è un diritto «in costante e preoccupante declino», e nel mondo in cui viviamo «la sopravvivenza di un’informazione indipendente sta diventando sempre più precaria a causa delle ideologie, soprattutto religiose, a essa ostili». Sempre secondo il rapporto sono 110 i giornalisti uccisi nel mondo nel 2015 (contro i 66 del 2014): tra i Paesi più pericolosi ci sono Iraq (11 morti), Siria (10 morti) e Yemen (10 morti).
La maglia nera della repressione e controllo dell’informazione spetta a Cina, Siria, Turkmenistan, Corea del Nord ed Eritrea, che occupano le ultime cinque posizioni della lista. Male anche l’Italia, che dal 73mo posto scende al 77mo, attestandosi fra gli ultimi paesi europei (seguita solo da Cipro, Grecia e Bulgaria). Sempre secondo Rsf nel nostro paese «tra i 30 e i 50 giornalisti» sono sotto scorta per intimidazioni e minacce ed il «livello di violenza contro i giornalisti è allarmante». Male anche la Francia che perde ben sei posizioni (da 38 a 44) e la Germania che ne perde una (da 16 a 17). Note positive il fatto che i primi quattro paesi siano europei (Finlandia, Olanda, Norvegia, Danimarca) e che la situazione sia leggermente migliorata per l’Africa, che nel complesso ottiene un risultato migliore delle americhe.