Oggi e domani su Left è possibile scaricare gratuitamente Dalla guerra alla luna (Noeve Records, 2016), l’ultimo lavoro di Daniele Celona. È un ep di cinque brani live, estratti dall’ultima data dell’Atlantide Tour, con un videoclip a corredo (qui sopra, per guardarlo cliccate il tasto play) che documenta l’intera giornata del 15 aprile 2016. Insieme alla voce e alla chitarra di Celona, i musicisti Marco Di Brino, Davide Invena, Mario Rossi, Anthony Sasso e Bea Zanin.
«Vi invito ad ascoltare i miei brani perché di questo parlano, del quotidiano: dalla metafora del grottesco alla fine c’è sempre la figura dell’Uomo immerso nell’oggi con tutti gli ostacoli che questa società impone». Torinese dalle origini sarde e siciliane, Daniele Celona è cantautore, è compositore, è produttore artistico. E, soprattutto, Daniele Celona è rock. Struggente e liberatorio. E, se è il caso, anche feroce. Rock d’amore e di politica. Celona canta e suona senza fronzoli. Mentre prepara il tour estivo – ad agosto sarà sul palco dell’Indiegeno Fest di Tindari – gli abbiamo fatto qualche domanda.
Daniele, sai che Left non è una rivista di settore, perché i nostri lettori dovrebbero scaricare e ascoltare il tuo disco?
Innanzitutto perché dò al termine “politica” un senso e un significato molto più nobile di quello a cui siamo abituati da italioti. C’è un’alta sfiducia nella politica, però etimologicamente il termine riguarda il nostro vivere quotidiano, sarebbe una delle missioni più nobili che un uomo potrebbe imporsi: quella di mettersi al servizio degli altri e fare il bene del proprio vicino, del proprio prossimo, del proprio Paese. E non quella di scaldare una poltrona… Quindi vi invito ad ascoltare i miei brani perché di questo parlano, del quotidiano: dalla metafora del grottesco alla fine c’è sempre la figura dell’Uomo immerso nell’oggi con tutti gli ostacoli che questa società impone. È proprio lì che pongo la lente d’ingrandimento.
Il video di Luna è un live interamente girato al Diavolo Rosso, chiesa sconsacrata di Asti che per sedici anni ha ospitato la cultura alternativa, e che adesso ha chiuso. Perché questa location?
La mia rischia di essere l’ultima data di alternative italiano al Diavolo Rosso. In questo momento in cui chiudono molti locali storici, quella sera è stata un’emozione particolare sentire che quella poteva essere l’ultima data in un luogo così suggestivo. Il video è più un report della giornata, una narrazione che riassume quello che abbiamo fatto in un anno e mezzo di live in Italia.
Il Diavolo Rosso chiude perché la proprietà ha deciso di vendere e non più di affittare all’associazione che l’ha gestito in questi sedici anni, ma deriva anche un po’ dal momento di stanchezza nel Paese. Un momento che è allargabile a tutta la nazione, la musica dal vivo non sta premiando, sta diventando di nicchia. E c’è una forbice che si allarga tra chi fa anche 200 km per andare a vedere un concerto e chi anche se ha un evento sotto casa non si muove. Noi musicisti che giriamo in lungo e largo per l’Italia lottiamo quotidianamente contro questo aspetto, siamo lusingati da chi fa 200 km per venirci a sentire ma una massa critica maggiore garantirebbe una longevità maggiore a noi e ai locali che fanno musica e cultura.
L’intimo e il politico, il privato e l’universale. Spesso parti piano per poi stenderci con un rock quasi violento nei toni e nell’energia. E viceversa. Con chi ce l’hai?
Sì, questo tipo di escursione e contraddizione c’è, e non solo nella dinamica ma anche nei registri vocali e nel linguaggio. Deriva dai miei studi di pianoforte classico, avendo studiato quel tipo di cambio tra il lento e l’allegretto e via dicendo… quando ho iniziato a scrivere, rispetto alla canzone tradizionale italiana, mi è sempre mancato quel tipo di escursione. Alla fine il modo che ho trovato per riproporla è questo, negli anni poi ho imparato a gestire la voce in modo, con questi cambi feroci, da turbare l’ascoltatore. È un corollario, non lo vado a cercare a tavolino ma mi gratifica.
Ancora una domanda. Nell’epoca dei synth tu usi chitarre, basso e batteria. Eppure sei un pianista, e vieni dall’elettronica. È una scelta di gusto o cosa?
Mi sono spostato su chitarra e voce perché non ne avevo una visione dall’alto, mi sono buttato. È stato come un salto nel buio in qualcosa che non riuscivo a gestire bene. Sai, un brano assume un vestito diverso a seconda di cosa hai sotto le mani, quello che scrivi con un pianoforte avrà un certo gusto, quello che scrivi con un pedale o un fuzz molto distorto ne avrà un altro. Avevo voglia di innescare distorti e schiacciare pedali, ma non è detto che non torni a usare tastiere e synth. Ho scelto egoisticamente senza pensare a mode o effetti collaterali, è una fase creativa, non vado per forza controcorrente. Un vestito non deve diventare una prigione. Seguo quello che mi dice il cuore.