Non che non si sapesse, per carità. Figurarsi se in giro c’è ancora qualcuno che pensa esistano territori incontaminati dalla ‘ndrnagheta e figurarsi se il ricco Friuli, da Trieste in giù, non potesse essere un piatto troppo ricco per diventare boccone tra i denti della criminalità organizzata. Però la notizia arriva con tutta una sua drammaturgia degna di un film e allora forse vale la pena raccontarla.
Già durante l’inaugurazione dell’anno industriale il presidente vicario della Corte d’Appello di Trieste Alberto Da Rin aveva dichiarato senza troppo riverenze che l’azienda ‘IT Costruzioni Generali’, che guarda caso si occupa di edilizia e movimentazione terra, era in odore di mafia. Bei tipi quelli della Direzione Investigativa Antimafia di Trieste, tutti lavoro e senza remore, con la schiettezza di chi sa di prendere molto sul serio il proprio lavoro. La IT Costruzioni risulta essere di Martino e Antonio Iona (oltre che di Teresa Antonella): Iona è un cognome conosciuto da quelle parti, gente che riesce ad entrare negli appalti che contano.
Il “capo” è Giuseppe “Pino” Iona, 51 anni, attivo dalle parti di Monfalcone. Iona ha ricevuto un avviso di garanzia e un invito a comparire alla DIA e quando si è seduto di fronte ai magistrati (il capo della Direzione distrettuale antimafia, Carlo Mastelloni e il sostituto procuratore Federico Frezza) ha avuto la bella sorpresa di trovarsi di fronte a un pentito che lui ben conosce. Una carrambata, se ci fossero state le telecamere. Secondo il collaboratore di giustizia Iona sarebbe dedito al commercio illegale di armi e stupefacenti con i Paesi dell’Est e risulterebbe a capo di un’organizzazione mafiosa in tutto e per tutto assimilabile a una ‘ndrina. Uomo di peso, Pino: tra il 2007 e il 2011 secondo la Procura riusciva a muovere anche un chilo di cocaina a settimana.
Ma l’aspetto interessante è che anche Iona, come i suoi colleghi boss sparsi in giro per il mondo, sapeva bene che il modo migliore per mafiare in tranquillità era quello di non farsi notare, non farsi vedere, non farsi sentire. Una storia che potrebbe essere la fotocopia di tante altre lassù al nord. E mica per niente fu proprio Franco Roberti (Procuratore capo dell’antimafia) ad augurarsi anche in Friuli una svolta culturale per alzare la soglia di attenzione ed evitare l’ennesima colonizzazione mafiosa.
Ora il segnale è arrivato. Resta da vedere se gli errori di sottovalutazione in Lombardia e Emilia Romagna ci hanno insegnato qualcosa.
Buon lunedì.