«Se volete che io lasci, chiedete un congresso anticipato e vincetelo». «In bocca al lupo», sorride Renzi, dopo aver parlato per un’ora di banche, barconi e referendum (e aver detto qui che lui, se vincesse il no, oltre a dimettersi scioglierebbe le camere). Ha infatti preso larghissimi, aiutato dalla cronaca della settimana, i temi di organizzazione del Pd e delle amministrative. Ne parla, certo, e prende di petto la minoranza dem, ma solo dopo aver fornito una serie di titoli alternativi ai giornali – che si distraggano pure, persi tra il ricordo commosso delle vittime dell’attentato di Dacca, tra l’orgoglio per le operazioni di recupero del barcone affondato nel Mediterraneo, carico di vite, e tra la trattativa in Europa per le banche e sulla Brexit. L’impressione che vuole dare Matteo Renzi con il suo intervento è infatti proprio questa: lui parla – e anzi fa cose che contano per il Paese, per la pace, per la crescita -, gli altri, Bersani&co, vorrebbero parlare solo di questioni interne, incapaci di comprendere che «nel tempo della comunicazione» qualcosa dai 5 stelle bisognerebbe imparare: perché «litigano più dei partiti e lo fanno senza il coraggio dello streaming», i 5 stelle, ma poi si mostrano all’esterno «come una falange». Quindi Renzi prima ricorda che sulle banche lui sta risolvendo problemi che si trascinano addirittura dal governo Ciampi (responsabilità quindi dei rottamati) e non certo i problemi personali di qualche banchiere amico (a lui, dice, lui dei banchieri «non importa molto» ma che «salvare i correntisti è salvare i cittadini»), e poi rivendica i margini di flessibilità ottenuti dall’Europa. Dice che «il jobs act è il vero modo per combattere la povertà» (e risponde così all’ironia di Bersani che si è detto «commosso» dal fatto che il ministro Calenda abbia parlato del problema delle disuguaglianze crescenti) e poi se la prende con «quelli che propongono il reddito di cittadinanza». Trova il tempo di rivendicare ancora pure le unioni civili, e di mandare in onda una clip su Cantona sull’importanza dei passaggi (e quindi della fiducia nella squadra): «Per come interpreto la politica io», dice, «l’importante è il passaggio e non fare gol». E poi, solo poi – e solo siccome il vecchio Pd vuole proprio parlare di come sono andate le elezioni di quindici giorni fa – Renzi parla del voto e del partito. Lo fa controvoglia: «Diciamoci la verità», dice con fare comprensivo, «a molti di voi delle amministrative non interessa, vi interessa parlare l partito». «Parliamone», allora. Renzi riconosce che «con Torino e Roma la palma va ai 5 stelle» ma nota che «il simbolo delle amministrative è stata Milano». E poi ci sono i piccoli comuni. «Davvero possiamo dare un giudizio nazionale?», si chiede Renzi. Insomma è un pareggio. Per cui non si giustificano quindi particolari interventi sul Partito. Respinte le richieste di modifiche sull’Italicum, «se volete che io lasci», aggiunge magnifico Renzi, «non avete che da chiedere un congresso anticipato e vincerlo». «In bocca al lupo». Allo stesso modo, «se volete dividere le cariche», se volete che il segretario non sia più automaticamente il candidato premier, «non avete che da proporre una modifica allo Statuto».
«Se volete che io lasci, chiedete un congresso anticipato e vincetelo». «In bocca al lupo», sorride Renzi, dopo aver parlato per un’ora di banche, barconi e referendum (e aver detto qui che lui, se vincesse il no, oltre a dimettersi scioglierebbe le camere). Ha infatti preso larghissimi, aiutato dalla cronaca della settimana, i temi di organizzazione del Pd e delle amministrative. Ne parla, certo, e prende di petto la minoranza dem, ma solo dopo aver fornito una serie di titoli alternativi ai giornali - che si distraggano pure, persi tra il ricordo commosso delle vittime dell’attentato di Dacca, tra l’orgoglio per le operazioni di recupero del barcone affondato nel Mediterraneo, carico di vite, e tra la trattativa in Europa per le banche e sulla Brexit. L’impressione che vuole dare Matteo Renzi con il suo intervento è infatti proprio questa: lui parla - e anzi fa cose che contano per il Paese, per la pace, per la crescita -, gli altri, Bersani&co, vorrebbero parlare solo di questioni interne, incapaci di comprendere che «nel tempo della comunicazione» qualcosa dai 5 stelle bisognerebbe imparare: perché «litigano più dei partiti e lo fanno senza il coraggio dello streaming», i 5 stelle, ma poi si mostrano all’esterno «come una falange». Quindi Renzi prima ricorda che sulle banche lui sta risolvendo problemi che si trascinano addirittura dal governo Ciampi (responsabilità quindi dei rottamati) e non certo i problemi personali di qualche banchiere amico (a lui, dice, lui dei banchieri «non importa molto» ma che «salvare i correntisti è salvare i cittadini»), e poi rivendica i margini di flessibilità ottenuti dall’Europa. Dice che «il jobs act è il vero modo per combattere la povertà» (e risponde così all’ironia di Bersani che si è detto «commosso» dal fatto che il ministro Calenda abbia parlato del problema delle disuguaglianze crescenti) e poi se la prende con «quelli che propongono il reddito di cittadinanza». Trova il tempo di rivendicare ancora pure le unioni civili, e di mandare in onda una clip su Cantona sull’importanza dei passaggi (e quindi della fiducia nella squadra): «Per come interpreto la politica io», dice, «l’importante è il passaggio e non fare gol». E poi, solo poi - e solo siccome il vecchio Pd vuole proprio parlare di come sono andate le elezioni di quindici giorni fa - Renzi parla del voto e del partito. Lo fa controvoglia: «Diciamoci la verità», dice con fare comprensivo, «a molti di voi delle amministrative non interessa, vi interessa parlare l partito». «Parliamone», allora. Renzi riconosce che «con Torino e Roma la palma va ai 5 stelle» ma nota che «il simbolo delle amministrative è stata Milano». E poi ci sono i piccoli comuni. «Davvero possiamo dare un giudizio nazionale?», si chiede Renzi. Insomma è un pareggio. Per cui non si giustificano quindi particolari interventi sul Partito. Respinte le richieste di modifiche sull’Italicum, «se volete che io lasci», aggiunge magnifico Renzi, «non avete che da chiedere un congresso anticipato e vincerlo». «In bocca al lupo». Allo stesso modo, «se volete dividere le cariche», se volete che il segretario non sia più automaticamente il candidato premier, «non avete che da proporre una modifica allo Statuto».