L’America è al collasso, il numero degli omicidi è in aumento, i nostri poliziotti in pericoli e torme di terroristi si aggirano per le nostre città. La colpa è di Obama e con Hillary Clinton tutto rimarrà uguale.
«Né io né nessuno in questa sala ha mai visto o conosciuto un’America più pericolosa. Questo presidente ha abbandonato le inner cities americane». Il discorso apocalittico di accettazione della nomination da parte di Donald Trump è privo di ricette precise per come risolvere la situazione catastrofica che lo stesso candidato repubblicano dipinge. La ricetta è una e una sola: «Io e solo io posso rimettere le cose a posto, far tornare l’America grande». Perché? Perché vi amo, conosco il sistema come nessun altro e solo io sono in gradi di cambiarlo e aggiustarlo, perché sono la vostra voce e perché non firmerò mai e poi mai un accordo commerciale sbagliato.
Trump scommete sulla paura generate in questi giorni dalla morte dei poliziotti a Dallas e Baton Rouge e dalle proteste degli afroamericani, come all’inizio e durante la sua campagna per le primarie ha scommesso sulla paura degli immigrati e del terrorismo. L’America deve chiudersi in se stessa, venire a patti con dittatori e personaggi scomodi, lasciare che gli alleati della Nato se la cavino da soli e gettare nel cesso i trattati commerciali che hanno portato le fabriche in Cina e Messico. Il programma è questo. Più, naturalmente, un taglio delle tasse per i più ricchi accompagnato da tagli alla spesa equivalenti. Il campione di scacchi Kasparov, fuggito negli Usa dalla Russia di Putin, twitta: «Ho ascoltato questo discorso molte volte, non suona bene nemmeno in russo».
I’ve heard this sort of speech a lot in the last 15 years and trust me, it doesn’t sound any better in Russian.
— Garry Kasparov (@Kasparov63) 22 luglio 2016
Ecco, se c’è uno specifico nel programma di Trump è quello su spesa e tasse. Per il resto non sappiamo nulla. Se non che l’America che dipinge non è il faro sulla collina pieno di speranza descritto da Ronald Reagan, convinto di essere migliore dell’Impero del male sovietico e, quindi, destinato a vincere. Il reaganismo è morto con Trump e il movimento isolazionista, conservatore che lo sostiene. A tornare è la versione precedente del conservatorismo Usa, quello di Nixon e degli anni in cui, la maggioranza silenziosa, spaventata dai movimenti di protesta, dalle Pantere nere, dalla rivoluzione sessuale, delusa e depressa dal Vietnam, in fuga dalle città troppo violente e in preda a un’epidemia di droga scelsero di voltare le spalle al progressismo degli anni ’60. Come scrive Megan McCain, figlia del senatore candidato del 2008, «Il partito di cui ero parte è morto»
The party I was part of is dead.
— Meghan McCain (@MeghanMcCain) 22 luglio 2016
Cosa altro è il suo «La prima cosa che farò è riportare sicurezza: costruiremo un muro alla frontiera per fermare gli immigrati, le gangs e la loro violenza e il fiume di droga che si riversa sulle nostre comunità», se non un vecchio disco fascistoide proveniente da un’altra era geologica? Che infatti è piaciuto molto all’ex Gran capo del Ku Klux Klan David Duke (che si potrebbe candidare alla Camera)
Great Trump Speech, America First! Stop Wars! Defeat the Corrupt elites! Protect our Borders!, Fair Trade! Couldn’t have said it better!
— David Duke (@DrDavidDuke) 22 luglio 2016
Oggi gli Usa non sono in preda a una crisi simile, ma assistono come tutto il resto del mondo a trasformazioni epocali, che ne ridimensionano il potere assoluto avuto dal 1989 al 2001 – e perso anche grazie alle catastrofiche avventure dell’ultimo presidente repubblicano in Iraq e Afghanistan. E, a differenza per dire dell’Europa, hanno risposto al cambiamento reagendo piuttosto bene. Certo, negli anni di Obama la Cina non è scomparsa e neppure la minaccia del terrorismo. Ma non è aumentato il crimine, i flussi migratori si sono ridimensionati e i posti di lavoro aumentati.
Ma numeri e realtà non sono il forte di Donald Trump, che promette Legge&Ordine, e dipinge Hilary Clinton come la marionetta dei poteri forti che come Segretario di Stato ha lasciato un’eredità di «Morte, distruzione, morte e debolezza» e tutti i media e le corporation sono con lei perché vuole lasciare le cose come stanno.
Trump ha fatto un discorso per i suoi. Del resto in una intervista rilasciata al New York Times ha detto: «Quel che rimane da questa convention è l’aver constatato che piaccio alla gente». È vero, c’è un pezzo d’America bianca, non giovane e spaventata dal cambiamento che adora il miliardario newyorchese, le sue parole forti, le sua sparate. Ma per il resto l’America del 2016 non sembra un Paese terrorizzato e in reda a una crisi epocale tale da affidarsi a uno sceriffo platinato come Trump. Se c’è una parte del discorso che il candidato repubblicano fa che potrebbe funzionare con l’elettorato moderato è proprio quella per cui Clinton non cambierà le cose mente lui, il non politico che conosce il business, è pronto a trasformare l’America e farla tornare grande. L’outsider tutto promesse e niente piani definiti contro il sistema immobile è l’unica chiave possibile per TheDonald. Se riuscirà a convincere gli americani saranno dolori per tutti. Hillary avrà bisogno, per fermarlo, dell’entusiasmo della sinistra e i suoi lo hanno capito. Lo slogan del mattino, della campagna Clinton è: l’unico ostacolo tra Trump e la Casa Bianca siamo tutti noi.