Sono sempre russi i cattivi del film. Adesso anche delle Olimpiadi. Sulla lavagna della Wada, la World antidoping agency, gli atleti brutti, sporchi e cattivi sono scritti a sinistra e a Est. I buoni, belli e puliti sono a Ovest. Mosca, tu non giochi: la squadra d’atletica leggera di Putin resterà a casa. Solo l’atleta Darya Klishina, russa residente negli Stati Uniti, ringrazia il comitato per il diritto concessole di partecipare. «Nazista e traditrice» è l’appellativo con cui la bersagliano sui social in cirillico. In qualche interstizio nascosto della mentalità russa questa è solo l’ultima stoccata, l’ennesima falsata cronaca dell’Ovest in un eterno giorno della marmotta antirusso e slavofobo. Dalla palla di calcio dei mondiali 2018 che si terranno nella Federazione, alla palla delle ginnaste che vedranno le gare da casa, fino a quella del mappamondo che gira: lo scandalo dei campioni di Putin potrebbe avere più ripercussioni belliche che sportive. Questa in Russia è una notizia politica. Lo sa bene il ministro dello Sport Mutko che urla chiedendo ancora giustizia.
Il rapporto denuncia è firmato da un signore che si chiama come un’auto e come l’auto ha viaggiato veloce da un desk all’altro degli organizzatori dei giochi e delle redazioni dei giornali. La prima a pubblicarlo è stata quella del New York Times. La firma in calce dell’IP, Independent person, delle Sochi investigation è di Richard H. McLaren: 97 pagine di un dossier messo insieme in 57 giorni che svela come i test degli atleti diventassero da più meno, da positivi a negativi per risultare puliti. Al microscopio ci sono prove ed evidenze. Erano compiacenti allenatori, tecnici e organizzatori, mentre i servizi segreti russi esercitavano la loro arte di alterare e facevano sparire prove e provette.
Quel buco nel sistema
Tutto avveniva attraverso un mouse hole, un buco piccolo dove passerebbe solo un topo e invece passavano campioni d’urina congelati mesi prima e scongelati all’occorrenza. Evgenij Blokhin era l’agente dei servizi che se ne occupava dal laboratorio parallelo e segreto accanto a quello ufficiale e visibile di Sochi. La disappearing positive methodology consisteva nel cambiare campioni d’urina pulita degli stessi atleti, quindi stesso Dna, con quelli sporchi del post doping che andavano distrutti per non lasciare traccia. Se il peso non coincideva, bastava del sale da cucina. Tutto si svolgeva solo di notte. Questo si chiama metodo del “positivo scomparso”. Non ne rimane traccia nelle provette svizzere marca Berlinger. Pare che sia stato così che in questi anni la Russia, undicesima nel medagliere dei giochi invernali di Vancuver 2010, è diventata regina nei mondiali d’atletica leggera proprio a Mosca con 7 ori e 17 medaglie nel 2013. Ori che ora brillano solo di scandali, anabolizzanti e steroidi.
Mentre uno dei cinque cerchi olimpici si sta chiudendo come una manetta che scatta intorno ai polsi dei ginnasti da leggenda, la zarina dorata di medaglie da primato Elena Isinbaeva ha detto che «senza Russia è il funerale dell’atletica leggera».
La vicenda del doping russo continua su Left in edicola dal 30 luglio