We must not let #CrookedHillary take her CRIMINAL SCHEME into the Oval Office. #DrainTheSwamp pic.twitter.com/GtPkj4xIz6
— Donald J. Trump (@realDonaldTrump) 28 ottobre 2016
Chissà cosa pensa Hillary Clinton ogni volta che preme il tasto “Invia” dopo aver scritto una email. La molto probabile presidente degli Stati Uniti ha di nuovo dei guai di immagine. Piuttosto seri. Siamo a 10 giorni dal voto e per colpa della leggerezza commessa nell’aver usato un server privato di posta – e quindi per aver spedito informazioni su cui c’era il timbro “confidenziale” attraverso canali della rete non protetti dal Dipartimento di Stato – siamo di nuovo a parlare del fatto che di Hillary, come sostengono i repubblicani, non ci si può fidare perché tende a nascondere le cose e ad agire al di sopra delle regole. A fare come pare a lei. Un’esagerazione per una leggerezza commesa? Certo, ma un guaio a cui Donald Trump si attaccherà con le unghie.
La storia ha mille rivoli e di questo si parlerà per almeno un paio di giorni. Vale la pena di ricostruirla.
Con una mossa a sorpresa, il direttore dell’Fbi James Comey ha comunicato al Congresso che durante l’inchiesta che riguarda le mail di Anthony Weiner e la possibilità che siano state spedite a una minorenne, ha trovato mail provenienti dall’account di Hillary Clinton. E lo ha comunicato al Congresso come atto dovuto. Weiner è un ex rappresentante democratico di New York la cui promettente carriera politica è finita malamente a causa della sua ossessione per il sexting (sex texting, ovvero mandare messaggi contenenti foto di se stesso a donne X in rete). Dopo un primo scandalo nel 2011, che gli costò le dimissioni, un secondo nel 2013, che gli costò la corsa da sindaco della sua città, l’ultima idiozia Weiner l’ha fatta spedendo na foto di sè stesso a una ragazza. Nella foto, che lo ritraeva a letto, c’era anche il figlioletto – il contenuto della chat pietoso, ma il fatto che Weiner mandi anche in giro le foto di sè, in mutande a letto con suo figlio, è stato giudicato troppo pietoso.
Cosa ha a che vedere Anthony Weiner con Clinton? Il nostro è l’ex marito di Huma Abedin, ombra, amica, confidente, aiutante di Hillary. Lei lo ha lasciato dopo l’ennesima dimostrazione testosteronica da cellulare di Anthony. Nel 2011 aveva fatto come l’ex first lady ai tempi di Monica Lewinsky: conferenza stampa contrita al fianco di un marito a testa bassa. E le mail di Hillary erano conservate in un pc che i due condividevano. Il ridicolo di questa vicenda è che nasca dal sexting di Weiner, che non ha nessun ruolo nelle elezioni del 2016. In qualche modo i comportamenti sessuali vogliono per forza fare capolino nelle presidenziali 2016 – le accuse a Hillary per aver protetto Bill, le “chiacchiere da spogliatoio di Trump”.
Già, ma perché l’Fbi le indaga? Non lo sappiamo, Comey non ha detto se le mail abbiano un contenuto in qualche modo delicato dal punto di vista della sicurezza nazionale. Probabilmente no. Sono solo mail di quell’account trovate nel corso di un’altra inchiesta. Questo almeno sperano i democratici. Donald Trump invece parla di «una vicenda più grande del Watergate». E tutti i repubblicani corrono in Tv a ripetere la stessa cosa. Per una volta, in una fase nella quale vanno ciascuno per conto suo, prendendo o meno le distanze da TheDonald a seconda dell’elettorato che si trovano ad affrontare a livello locale, sono tutti d’accordo.
La reazione della campagna Clinton è stata furiosa: una dichiarazione di John Podesta, il capo delle operazioni, e poi della stessa chiedono al capo dell’Fbi di dire quel che c’è da dire: se ci sono contenuti di cui parlare che se ne parli, altrimenti l’aver lanciato questa bomba sulle elezioni è da interpretare come un colpo contro Clinton. Trump e compagni, a loro volta, si aspettano che i contenuti vengano resi pubblici subito nella speranza di trovare qualcosa di cui parlare. In un momento in cui i giochi sembrano fatti, questa vicenda è ossigeno per loro. «L’Fbi sta riparando all’errore di non averla condannata prima» dice Trump nel video qui sotto. Non è così, la questione è procedurale. Ma certo Comey doveva sapere che conseguenze avrebbe avuto l’annuncio fatto a un passo dal voto.
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E qui veniamo a Comey. Il direttore nominato nel 2013 è un repubblicano e ha lavorato nell’amministrazione di George W. Bush. Una di quelle mosse bipartisan di Obama, che non sono servite a guadagnare un po’ di collaborazione da parte dell’opposizione e che oggi molti gli rinfacciano.
Comey probabilmente era obbligato a fare la comunicazione che ha fatto: ci sono mail dell’account di Clinton che l’Fbi non aveva visto e, quindi, deve riaprire le indagini per studiarle. L’inchiesta era finita e, oggi, è riaperta. Procedura. Ma oggi Comey si trova in una posizione scomodissima. Specie dopo che ha scagionato Clinton in una conferenza stampa in cui ha definito deplorevole il suo comportamento. Già allora era finito in una luce cattiva: i democratici ci vedevano un accanimento, i repubblicani sostenevano che dovesse incriminare Hillary Clinton.
Conclusione? Un’altra volta ci troviamo a parlare di cose che non riguardano le politiche che il prossimo presidente degli Stati Uniti metterà in atto. Non di salario minimo (o di taglio delle tasse), non di riforma della polizia, non di ampliamento dell’assicurazione sanitaria pubblica per gli anziani (Medicare). Ma di comportamenti dei candidati. In questo senso Trump e il suo modo di fare politica hanno vinto. Vedremo se lo scandalo email produrrà anche una flessione di Hillary nei sondaggi. Attenzione però: 17 milioni di americani hanno già votato e molti lo faranno in questi giorni. Magari prima di un potenziale effetto email. Inoltre lo scandalo delle email va avanti da anni, i repubblicnai lo hanno spremuto in ogni modo, danneggando l’immagine di Hillary, certo, ma non riuscendo a darle un vero colpo.
Una certezza? I repubblicani hanno già detto che apriranno nuove commissioni di inchiesta contro la nuova presidente. Insomma, sentiremo parlare delle mail, anche di quelle di Weiner, per anni.