Dopo anni di slogan grillini che ci dicevano che la verità la potevamo scovare solo in rete, ci siamo accorti più o meno tutti (ma qualcuno resiste, lanciando ancora allarmi su scie chimiche e gomblotti vari) che nel web le bufale proliferano e dilagano. È così che, a seguito della clamorosa elezione di Donald Trump a presidente degli Stati Uniti in America, vari opinioninsti hanno cominciato a chiedersi se alcune delle bufale circolate soprattutto su facebook e diventate virali, avessero contribuito a mettere definitivamente K.o. Hillary Clinton. La risposta è arrivata direttamentente da Mr. Zuckerberg che ha assicurato: «I contenuti pubblicati su Facebook il 99% sono autentici». Insomma, un tempo ci dicevano che era vero perché lo vedevamo in tv, adesso “Zuck” ci spiega che “è vero perché lo dicono i social”. Le perplessità però, supportate da molti studi pubblicati recentemente, rimangono e si acuiscono se si guarda, per esempio, alle ultime policy attuate da Facebook e dal “rivale” Google sulle pubblicità. Entrambi i colossi del web infatti hanno scelto di limitare l’utilizzo dei loro sistemi di advertising ai siti diffusori di bufale. Una mossa che, da sola, lascia intendere una certa preoccupazione per il dilagare di una tendenza che finisce per inquinare l’ambiente web. Ma soprattutto, una mossa della quale Google e Facebook non sentirebbero il bisogno, se effettivamente il 99% delle cose che circolano sulle nostre bache fosse autentico. Inoltre, secondo un’inchiesta di gizmondo.com, infatti, gli stessi tecnici di Facebook erano ben consapevoli del problema bufale e sin da maggio si erano scervellati per cercare di sviluppare un algoritmo che scremasse le notizie reali da quelle false La testata americana addirittura sostiene che il team di Menlo Park avesse trovato una soluzione, ma che alla fine si sia scelto di non attuarla. Lievemente diversa la questione per Google che avrebbe invece impedito ai siti di bufale di accedere ad AdSense e “fare i soldi” con la diffusione di notizie false ma estremamente virali. Se la partita per le presidenziali si è appena chiusa, ora si apre quella per la corretta informazione che speriamo si risolva prima del 2020. Magari riusciamo ad evitarci un secondo mandato Trump.
Dopo anni di slogan grillini che ci dicevano che la verità la potevamo scovare solo in rete, ci siamo accorti più o meno tutti (ma qualcuno resiste, lanciando ancora allarmi su scie chimiche e gomblotti vari) che nel web le bufale proliferano e dilagano. È così che, a seguito della clamorosa elezione di Donald Trump a presidente degli Stati Uniti in America, vari opinioninsti hanno cominciato a chiedersi se alcune delle bufale circolate soprattutto su facebook e diventate virali, avessero contribuito a mettere definitivamente K.o. Hillary Clinton. La risposta è arrivata direttamentente da Mr. Zuckerberg che ha assicurato: «I contenuti pubblicati su Facebook il 99% sono autentici». Insomma, un tempo ci dicevano che era vero perché lo vedevamo in tv, adesso "Zuck" ci spiega che “è vero perché lo dicono i social”. Le perplessità però, supportate da molti studi pubblicati recentemente, rimangono e si acuiscono se si guarda, per esempio, alle ultime policy attuate da Facebook e dal “rivale” Google sulle pubblicità. Entrambi i colossi del web infatti hanno scelto di limitare l’utilizzo dei loro sistemi di advertising ai siti diffusori di bufale. Una mossa che, da sola, lascia intendere una certa preoccupazione per il dilagare di una tendenza che finisce per inquinare l’ambiente web. Ma soprattutto, una mossa della quale Google e Facebook non sentirebbero il bisogno, se effettivamente il 99% delle cose che circolano sulle nostre bache fosse autentico. Inoltre, secondo un’inchiesta di gizmondo.com, infatti, gli stessi tecnici di Facebook erano ben consapevoli del problema bufale e sin da maggio si erano scervellati per cercare di sviluppare un algoritmo che scremasse le notizie reali da quelle false La testata americana addirittura sostiene che il team di Menlo Park avesse trovato una soluzione, ma che alla fine si sia scelto di non attuarla. Lievemente diversa la questione per Google che avrebbe invece impedito ai siti di bufale di accedere ad AdSense e “fare i soldi” con la diffusione di notizie false ma estremamente virali. Se la partita per le presidenziali si è appena chiusa, ora si apre quella per la corretta informazione che speriamo si risolva prima del 2020. Magari riusciamo ad evitarci un secondo mandato Trump.