La destra si è impossessata della Casa Bianca e se non ve ne foste accorti, Donald Trump ve lo ha ricordato con il suo primo messaggio alla nazione, via You Tube. Il presidente eletto mette in fila alcune cose su commercio internazionale, immigrazione, ambiente, regole e non si discosta dalle promesse fatte in campagna elettorale. Pessima notizia. Usando lo strumento del dialogo diretto con i cittadini e con il formato di uno spot – il presidente eletto ha incontrato la stampa e attaccato le Tv all news dicendo che lo hanno maltrattato – Trump ha anche fatto capire che come cercano di fare i leader populisti di questi tempi, aggirerà la mediazione dei canali di informazione.
Nel testo di due minuti Trump dice, in sintesi:
«La mia agenda è semplice: prima l’America. Per questo ho chiesto al team che lavora alla transizione di scrivere degli ordini esecutivi che possano essere firmati nel primo giorno di presidenza. Sul commercio: notificherò la nostra volontà di uscire dalla Trans-Pacific Partnership e avvierò negoziati bilaterali con ciascun Paese che ne fa parte, eliminerò le regole ambientali che limitano la produzione di energia in maniera da poter ridare slancio all’estrazione di gas attraverso il fracking e riavviare la produzione di carbone pulito e emanerò un ordine per cui, per ogni nuova regola imposta, se ne debbano abolire due, sull’immigrazione avvieremo una inchiesta sulle infrazioni al sistema di visti che tanto penalizzano i lavoratori americani, in materia di etica, imporremo un bando di 5 anni per i funzionari che lasciano il lavoro e vogliono diventare lobbyisti».
Partiamo dal commercio internazionale e dall’uscita dai trattati. Da un lato questo è la ratifica di una morte annunciata, quella del TTIP tra America ed Europa. Una buona notizia, per le caratteristiche che quel trattato stava prendendo (poche regole, libertà di azione per le multinazionali e loro possibilità di portare in giudizio gli Stati), con un limite. Gli Stati Uniti non avviano una fase negoziale con Paesi asiatici con i quali hanno trattato per anni un accordo che hanno appena firmato. Semplicemente si ritirano. Una scelta che va a enorme potenziale vantaggio della Cina, un comportamento scorretto che li farà apparire ai partner asiatici come poco credibili (un po’ l’accusa fatta da Usa e Europa a Putin sulla Siria) e, infine, una strada verso la protezione delle merci nazionali che fatta in maniera unilaterale rischia di scatenare guerre commerciali pericolose. La globalizzazione andrebbe ridimensionata e regolata includendo clausole ambientali e regole sociali, tornare ai nazionalismi protezionisti non è un bel messaggio.
Sugli immigrati è il messaggio che è spaventoso: mettiamo mano al sistema dei visti per proteggere i lavoratori americani a cui gli stranieri rubano il lavoro. A quando “rubano le nostre donne”? Chi è immigrato, chi è clandestino (11 milioni, spesso in famiglie a metà regolari), vive nel terrore. È un pezzo importante di società americana. Non solo, domenica Trump ha incontrato il procuratore generale del Kansas, Kobach, che potrebbe entrare a far parte della sua squadra. Nella foto che li ritrare assieme, Kobach ha dei fogli in mano, ingrandendoli, si scorgono i dettagli di un piano per istituire il registro dei musulmani – quello degli ebrei lo istituirono i nazisti. Per fortuna ci sono Stati, comuni e dipartimenti di polizia che hanno già detto che si ribelleranno e disobbediranno alle regole imposte da Washington. Per anni lo hanno fatto i governatori repubblicani, ora è la volta dei democratici di fare ostruzionismo. Non è un bel segnale sul funzionamento della democrazia, ma sembra l’unica strada.
Sulle regole ambientali, il segnale è ancora più brutto: significa più o meno che gli Stati Uniti tornano a ignorare il fatto che c’è un problema di riscaldamento globale e che, di nuovo, hanno appena firmato un trattato globale, quello di Parigi, che impone regole per fermare il cambiamento climatico. «Riapriremo le miniere» aveva detto Trump in West Virginia. È improbabile che ciò accada (il carbone cinese costa comunque meno, se se ne vuole usare uno perché non quello?), ma l’effetto propaganda c’è.
L’ordine esecutivo sulle regole è tanto grottesco quanto spaventoso: l’automatismo per cui se si impone un limite occorre cancellarne due è pura demagogia. Ma potrebbe generare una deregolamentazione di un mercato, quello americano, già piuttosto libero, che può far male ad ambiente, diritti delle persone, dei consumatori e dei lavoratori.
Se a questi annunci di programma associamo il fatto che le prima nomine sono pessime e appaiono come colpi all’America dei diritti civili e delle minoranze (razzisti, persone che approvano la tortura, ecc.) il quadro si fa più scuro.
Infine, per rendere allegra la giornata (della festa dell’estrema destra di alt-right parliamo altrove), Trump suggerisce a Theresa May, la premier britannica, di nominare Nigel Farage ambasciatore negli Stati Uniti via twitter. Tre cose: un presidente non suggerisce a un governo straniero quali ambasciatori nominare, se proprio lo fa non lo fa via twitter, l’idea stessa che il leader del nazionalismo populista e anti immigrati britannico sia la prima scelta di Trump, ci racconta qualcosa della sua presidenza. Ma anche del suo carattere: se qualcuno gli sta simpatico o gli è fedele alleato, Trump lo premierà e terrà vicino. Non è la qualità il criterio di scelta della nuova amministrazione, ma piuttosto la volontà di sedersi all’ombra del presidente.
Many people would like to see @Nigel_Farage represent Great Britain as their Ambassador to the United States. He would do a great job!
— Donald J. Trump (@realDonaldTrump) 22 novembre 2016