La Riforma costituzionale inasprisce il conflitto Stato Regioni rafforzando lo Sblocca Italia e svuota di fatto l’articolo 9 della Carta che tutela patrimonio culturale e paesaggio. Venerdì 2 dicembre in Campidoglio giuristi, storici dell’arte, archeologi, urbanisti danno vita a una mattinata dal titolo Emergenza Costituzione, per dare voce e argomentazioni alle ragioni no alla riforma costituzionale, che rafforza gli effetti negativi della legge sui parchi, dello Sblocca Italia, della legge Madia, delle controriforme dei beni culturali varati dal Mibact guidato da Franceschini.
A partire dalle 10 nella sala della Protomoteca, su questi temi, si confrontano lo storico dell’arte e vice presidente di Libertà e giustizia Tomaso Montanari, l’urbanista Paolo Berdini e Luca Bergamo, rispettivamente assessore all’Urbanistica e allo Sviluppo culturale del Comune di Roma. Qui la diretta streaming. Insieme a loro i giuristi Roberto Zaccaria e Paolo Maddalena, lo storico del diritto Mario Ascheri, lo storico dell’arte e archeologo Salvatore Settis , la storica dell’arte Lucilla Speciale il giornalista Vittorio Emiliani, fondatore del comitato per la Bellezza, che a Left spiega perché al referendum del 4 dicembre vota no:
Vittorio Emiliani: «Voto No per tante ragioni, ma ne espongo una: la confusione, la quasi incomprensibilità dei testi “costituzionali” Boschi-Renzi, per esempio lo strategico articolo 70. Ho detto ad amici incerti sul voto, “provate a leggerlo e ditemi se ci capite qualcosa”, l’hanno letto e sono rimasti sbalorditi decidendo per il NO. Badate – ho spiegato loro – che questa confusione deriva certamente anche dalla incultura dei proponenti, e però ha un risvolto furbesco, manipolatore. Nel senso che più un testo costituzionale è oscuro e più un governo spregiudicato ci può giocare dentro volgendolo a favore di misure anche autoritarie. Tanto più se una legge elettorale come l’Italicum gli consente di determinare l’elezione dei componenti della stessa Corte Costituzionale, cioè del massimo organismo di controllo.
Per esempio, il nuovo Titolo V, quello “federale” voluto dal centrosinistra nel 2001 era pessimo, a volte grottesco. Questo prefigura il ritorno al centro di talune competenze, di tipo ambientale fra le altre, e ci si potrebbe anche stare se il governo Renzi non avesse già dimostrato di volere mano libera in materia, che so, di trivellazioni, di gasdotti in zona sismica e altro. Poi, nella pratica, con la legge “sfascia parchi” a firma Caleo (Pd) appena approvata al Senato, il governo consegna la dirigenza e il governo degli stessi Parchi Nazionali alle clientele e alle corporazioni locali. Ma lo decide sempre il governo con una strategia parallela in materia di beni culturali e di beni ambientali: mettere a reddito, fare soldi, ricavare profitti da questi beni pubblici primari, in pieno, frontale contrasto con l’articolo 9 della Costituzione che prevede “la tutela del paesaggio e del patrimonio storico e artistico della Nazione” non la sua commercializzazione».