Da due giorni ci si chiede come mai gli italiani abbiano respinto con tanta veemenza le riforme istituzionali proposte dal governo Renzi. L’errore del premier nel puntare a un voto su di sè? La campagna ben fatta dal fronte del No? E forse il rapporto Istat sul Reddito e le condizioni di vita nel 2015 è un buon indicatore. Indiretto, certo, ma un indicatore: c’è stato un voto sulla costituzione e poi c’è stato il rifiuto dell’idea che cambiare le regole e la costituzione fosse una priorità per una società allo stremo.
L’Istat stima che nel 2015 il 28,7% delle persone residenti in Italia fosse a rischio di povertà o esclusione sociale (ovvero rischio di povertà, grave deprivazione materiale, bassa intensità di lavoro). Più di una persona su quattro è in difficoltà e il dato è sostanzialmente identico (ma in lieve crescita) a quello del 2014. C’è un piccolo aumento degli individui a rischio povertà (dal 19,4% a 19,9%) e calano quelli che vivono in famiglie a bassa intensità lavorativa (da 12,1% a 11,7%); resta invariata la stima di chi vive in famiglie gravemente deprivate. Insomma, mentre il governo investiva tutte le energie sulla riforma istituzionale, un quarto degli italiani si preoccupavano per il futuro prossimo. E mentre Renzi spiegava che le cose miglioravano, le persone non vedevano il miglioramento. È un po’ una costante di questa epoca storica: il Pil che cresce (di poco) non ha effetti sulla vita e quando si vota i governi vengono puniti.
Ma che vuol dire essere a rischio povertà? Gli esempi Istat sono “non riuscire a sostenere una spesa imprevista di 800 euro”, non potersi permettere una settimana l’anno di ferie”, “avere debiti e non pagare le bollette”, “non riuscire a riscaldare la casa adeguatamente” e “non potersi permettere un pasto adeguato ogni due giorni”. Naturalmente le percentuali calano: più è drammatico l’esempio, meno sono (per fortuna) coloro che rientrano nella categoria.
Un riscontro di questa lettura del dato referendario può essere un confronto geografico: se Milano e Bologna votano Sì, il Mezzogiorno che vota No resta ancora l’area con più persone a rischio. L’Istat stima che nel nel 2015 le persone a rischio povertà nelle regioni del Sud siano aumentate dell’1% fino a essere quasi la metà del totale (46,4%). La quota è in aumento anche al Centro (da 22,1% a 24%) ma riguarda meno di un quarto delle persone, mentre al Nord si registra un calo dal 17,9% al 17,4%.
Le persone che vivono in famiglie con cinque o più componenti sono quelle più a rischio di povertà o esclusione sociale.
Nel 2014, escludendo gli affitti figurativi, si stima che il reddito netto medio annuo per famiglia sia di 29.472 euro (circa 2.456 euro al mese). Considerando l’inflazione, il reddito medio rimane per la prima volta da diversi anni sostanzialmente stabile in termini reali rispetto al 2013. La metà delle famiglie residenti in Italia percepisce un reddito netto non superiore a 24.190 euro l’anno (circa 2.016 euro al mese), sostanzialmente stabile rispetto al 2013 – nel Mezzogiorno scende a 20.000 euro (circa 1.667 euro mensili).
Ad aumentare sono anche le diseguaglianze. E anche questo è un pessimo segnale in assoluto (e per un governo di centrosinistra): l’Istat stima che il 20% più ricco delle famiglie percepisca il 37,3% del reddito equivalente totale, il 20% più povero solo il 7,7%. Dal 2009 al 2014 il reddito in termini reali cala più per le famiglie appartenenti al 20% più povero, ampliando la distanza dalle famiglie più ricche il cui reddito passa da 4,6 a 4,9 volte quello delle più povere. Le diseguaglianze, spiega l’Istat, sono in media più ampie che non nel resto dei Paesi europei (esclusi i mediterranei e alcuni Paesi dell’est). Nell’Europa dei 28, l’Italia è sedicesima.