C’è voluto un morto affinché ci si accorgesse dei vivi. Un numero mai visto di operatori dell’informazione a Cona, per raccontare dove viveva Sandrine Bakayoko, la giovane ivoriana deceduta nell’Hub in provincia di Venezia. Una piccolissima frazione di 190 abitanti dove circa 1400 richiedenti asilo sono stati collocati in una ex caserma dell'aeronautica militare dismessa. C’ero stato un mese fa, al seguito di un gruppo di avvocati che il deputato Giovanni Paglia di Sinistra Italiana aveva portato con sé per verificare le reali condizioni in cui i tanti ospiti erano costretti. Una ex base missilistica in mezzo al nulla. Il primo centro, Cona appunto, è a cinque km di distanza. I tanti ospiti si muovono nella nebbia, spesso in bicicletta, in strade dove altrimenti non incontreresti nessuno. Passano il loro tempo a camminare in questo strano deserto che sa essere la Pianura Padana, soprattutto in inverno. Molti qui ci hanno già trascorso tutte le stagioni. Tra i richiedenti asilo e profughi in attesa, c’è chi è a Cona da ottobre 2014. E ancora non ha una destinazione che non sia quella di mettersi in fila, per una doccia o per un pasto. «Le condizioni in cui viviamo in questi campi sono davvero, davvero pericolose. Tu sei un giornalista – incalza uno degli ospiti, un uomo della Guinea – guarda le condizioni in cui viviamo, non abbiamo gli strumenti adatti. Stiamo per affrontare la nuova stagione e guarda come siamo vestiti, puoi vedere com'è la situazione, abbiamo bisogno del tuo aiuto, della tua voce. Porta il nostro grido di aiuto alla Commissione Italiana, alla Comunità Europea, abbiamo bisogno della vostra assistenza. Questa è una situazione di emergenza».

«La situazione è disastrosa, le infermerie sono all’aperto, i letti ammassati uno sull’altro. Non c’è acqua, e quando c’è è fredda» racconta Fratoianni dopo aver visitato il Cpa di Cona


Moltissimi, a metà novembre 2016, avevano solo delle semplici ciabatte ai loro piedi. In questi giorni la situazione non è di certo migliorata, in compenso il clima si è fatto alquanto rigido. «Ci chiedevamo cosa sarebbe successo, la volta scorsa, con l’arrivo dell’inverno. Ora lo abbiamo visto», commenta con una punta di amarezza Giovanni Paglia. È dello stesso avviso il collega Nicola Fratoianni, che con Paglia ha fatto visita al centro ieri, mercoledì 4 gennaio. «La situazione è disastrosa, le infermerie sono all’aperto, i letti ammassati uno sull’altro. Non c’è acqua, e quando c’è è fredda. Se si ammassano 1409 persone in una struttura come questa, non si può parlare di accoglienza. Una situazione strutturalmente insostenibile, la dimostrazione che un modello di carattere concentrazionario, fatto di grandi campi e di grandi numeri, non ha motivo di esistere. L’accoglienza diffusa, non sembra ci possono essere alternative, è l’unica via possibile da percorrere». Durante la giornata un centinaio di persone sono state trasferite in altri centri in Emilia Romagna. Tra questi ci sono ventotto donne. L'Hub di Cona non è la sola ad essere gestita dalla Cooperativa Ecofficina, da sempre molto chiacchierata. Gestisce diverse Hub in Veneto e proprio a questo proposito, assegnazione dei bandi e gestione dei migranti stessi, è sotto indagine da parte della magistratura di Padova e Rovigo. Francesco Miazzi, storico leader dei comitati ambientalisti della zona, afferma: «Borile è un uomo d’affari che percorre con lo stesso scrupolo sia il terreno dei rifiuti che quello dell’accoglienza. La sua unica finalità è il lucro. Il fatto di aver lasciato Padova 3 srl con 36 milioni di debito, ci porta a incrociare le dita nel vedere come andrà a finire la storia dei profughi. Padova 3 srl era il braccio operativo di Padova sud, il consorzio composto da tutti i comuni della bassa padovana per la gestione dei rifiuti. Raccolta, smaltimento, pagamento degli stessi. Una srl partecipata che sta dentro il consorzio. Un’anomalia. Attraverso questa dinamica si sono sempre gestiti gli appalti senza passare per bandi di gara, favorendo una dinamica clientelare».

VIDEO | Dentro il Cpa di Cona

 

C’è voluto un morto affinché ci si accorgesse dei vivi. Un numero mai visto di operatori dell’informazione a Cona, per raccontare dove viveva Sandrine Bakayoko, la giovane ivoriana deceduta nell’Hub in provincia di Venezia. Una piccolissima frazione di 190 abitanti dove circa 1400 richiedenti asilo sono stati collocati in una ex caserma dell’aeronautica militare dismessa. C’ero stato un mese fa, al seguito di un gruppo di avvocati che il deputato Giovanni Paglia di Sinistra Italiana aveva portato con sé per verificare le reali condizioni in cui i tanti ospiti erano costretti. Una ex base missilistica in mezzo al nulla. Il primo centro, Cona appunto, è a cinque km di distanza. I tanti ospiti si muovono nella nebbia, spesso in bicicletta, in strade dove altrimenti non incontreresti nessuno. Passano il loro tempo a camminare in questo strano deserto che sa essere la Pianura Padana, soprattutto in inverno. Molti qui ci hanno già trascorso tutte le stagioni. Tra i richiedenti asilo e profughi in attesa, c’è chi è a Cona da ottobre 2014. E ancora non ha una destinazione che non sia quella di mettersi in fila, per una doccia o per un pasto. «Le condizioni in cui viviamo in questi campi sono davvero, davvero pericolose. Tu sei un giornalista – incalza uno degli ospiti, un uomo della Guinea – guarda le condizioni in cui viviamo, non abbiamo gli strumenti adatti. Stiamo per affrontare la nuova stagione e guarda come siamo vestiti, puoi vedere com’è la situazione, abbiamo bisogno del tuo aiuto, della tua voce. Porta il nostro grido di aiuto alla Commissione Italiana, alla Comunità Europea, abbiamo bisogno della vostra assistenza. Questa è una situazione di emergenza».


«La situazione è disastrosa, le infermerie sono all’aperto, i letti ammassati uno sull’altro. Non c’è acqua, e quando c’è è fredda» racconta Fratoianni dopo aver visitato il Cpa di Cona


Moltissimi, a metà novembre 2016, avevano solo delle semplici ciabatte ai loro piedi. In questi giorni la situazione non è di certo migliorata, in compenso il clima si è fatto alquanto rigido. «Ci chiedevamo cosa sarebbe successo, la volta scorsa, con l’arrivo dell’inverno. Ora lo abbiamo visto», commenta con una punta di amarezza Giovanni Paglia. È dello stesso avviso il collega Nicola Fratoianni, che con Paglia ha fatto visita al centro ieri, mercoledì 4 gennaio. «La situazione è disastrosa, le infermerie sono all’aperto, i letti ammassati uno sull’altro. Non c’è acqua, e quando c’è è fredda. Se si ammassano 1409 persone in una struttura come questa, non si può parlare di accoglienza. Una situazione strutturalmente insostenibile, la dimostrazione che un modello di carattere concentrazionario, fatto di grandi campi e di grandi numeri, non ha motivo di esistere. L’accoglienza diffusa, non sembra ci possono essere alternative, è l’unica via possibile da percorrere». Durante la giornata un centinaio di persone sono state trasferite in altri centri in Emilia Romagna. Tra questi ci sono ventotto donne.
L’Hub di Cona non è la sola ad essere gestita dalla Cooperativa Ecofficina, da sempre molto chiacchierata. Gestisce diverse Hub in Veneto e proprio a questo proposito, assegnazione dei bandi e gestione dei migranti stessi, è sotto indagine da parte della magistratura di Padova e Rovigo. Francesco Miazzi, storico leader dei comitati ambientalisti della zona, afferma: «Borile è un uomo d’affari che percorre con lo stesso scrupolo sia il terreno dei rifiuti che quello dell’accoglienza. La sua unica finalità è il lucro. Il fatto di aver lasciato Padova 3 srl con 36 milioni di debito, ci porta a incrociare le dita nel vedere come andrà a finire la storia dei profughi. Padova 3 srl era il braccio operativo di Padova sud, il consorzio composto da tutti i comuni della bassa padovana per la gestione dei rifiuti. Raccolta, smaltimento, pagamento degli stessi. Una srl partecipata che sta dentro il consorzio. Un’anomalia. Attraverso questa dinamica si sono sempre gestiti gli appalti senza passare per bandi di gara, favorendo una dinamica clientelare».

VIDEO | Dentro il Cpa di Cona