Una Marcia nazionale per dire No. No allo sfruttamento sessuale accanto a quello lavorativo, alla riduzione in schiavitù, a condizioni di vita e di lavoro disumane, a violenza fisica e psicologica. E poi a finte cooperative, abuso dei voucher e buste paga false, a lavoro grigio e nero. Sono tante e diverse le forme in cui si manifesta il caporalato nel nostro Paese, dal Nord alle campagne del Sud, nei confronti di lavoratrici e lavoratori stranieri ma anche italiani. Eppure dall’incrocio delle inchieste della magistratura, dei numerosi report – oggi è stato presentato a Roma il quinto Rapporto Agromafie di Eurispe e Coldiretti – e del lavoro sul campo di attivisti, giornalisti e ricercatori emergono alcune costanti. Innanzitutto, il caporale è l’ultimo anello di una catena che salda diversi interessi all’insegna della riduzione dei costi: dalla grande distribuzione che stabilisce il prezzo, passando per i mediatori e i produttori che cercano di massimizzare il loro profitto. E spesso nell’affare entrano anche le mafie, che controllano buona parte della filiera, a partire dai mercati ortofrutticoli, le grandi centrali di raccolta, smistamento e trasporto dei prodotti ortofrutticoli coltivati in Italia o importati dall’estero. Talvolta con la complicità della politica locale.
Da qui l’urgenza di un’iniziativa che accendesse i riflettori evidenziando con forza alcune questioni da affrontare con urgenza, e l’idea di una Marcia nazionale contro il caporalato da realizzare ad aprile in Puglia.
Sono circa 100mila i lavoratori e le lavoratrici che in Italia sono sottoposti a caporalato e, nel caso degli stranieri, alla tratta internazionale di esseri umani. Un giro d’affari che arricchisce mafie e criminali e che cresce di anno in anno: si stima che nel 2016 l’economia illegale in agricoltura abbia raggiunto un valore di 21,8 miliardi di euro, con un balzo del 30% rispetto al 2015.
Nei giorni scorsi alcuni episodi eclatanti hanno riacceso i riflettori sul fenomeno. Il quotidiano britannico The Guardian ha raccontato la storia di Nicoleta Bolos, bracciante rumena nelle campagna del ragusano costretta ad avere rapporti sessuali con il proprietario della serra in cui lavorava in cambio della possibilità di continuare a lavorare a nero e pagata una miseria. Violentata, picchiata e sfruttata. Che non si tratti di un caso isolato lo conferma dalle pagine di Left in edicola da sabato 11 marzo Bruno Giordano, magistrato vittoriese presso la Corte di Cassazione: “Le donne rumene di Vittoria e non solo vengono arruolate, a volte con tutta la famiglia, in cambio di alloggi rurali e di 2,50 euro all’ora per lavorare nelle serre anche 12 ore al giorno. Un lavoro gravemente sfruttato e senza tutele per la salute.: incidenti e malattie ormai sono una costante. E a volte seguono ricatti e festini sessuali che sono una vergogna nella vergogna».
Dopo un altro episodio sconcertante, la morte di due braccianti maliani nel “Gran ghetto” di Rignano Garganico (Foggia) la notte tra il 2 e il 3 marzo, un gruppo di scrittori e attivisti – Leonardo Palmisano, Marco Omizzolo, Giulio Cavalli e Stefano Catone – ha lanciato l’idea di una Marcia nazionale contro la mafia del caporalato da tenersi lunedì 17 aprile (a partire dalle 11 a Borgo Mezzanone, Foggia) proprio in Capitanata, attraverso i ghetti e i luoghi dello sfruttamento, con l’obiettivo di attirare l’attenzione di media e politica e ottenere nuove misure dopo la pur utile approvazione, a ottobre 2016, della nuova legge contro il caporalato. A partire da una profonda revisione del sistema di accoglienza dei migranti e richiedenti asilo.
Left aderisce e contribuisce all’organizzazione della marcia diffondendo l’appello alla mobilitazione e le rivendicazioni dei promotori, raccogliendo le adesioni di singoli cittadini, associazioni, enti e istituzioni. L’appello #MarciaNoCaporalato per una Marcia nazionale contro la mafia del caporalato è disponibile all’indirizzo www.left.it/MarciaNoCaporalato e per aderire basta scrivere a [email protected].