«Senta professore, io L’attimo fuggente l’ho visto ma non mi è piaciuto. Quel ragazzo si suicida…». Accade anche questo in Classe Zeta, il film di Guido Chiesa che esce oggi 30 marzo nei cinema italiani: viene sfatato il mito del film con il professore Keating-Robin Williams che sale sul tavolo e recita i versi di Witman “O Capitano, mio capitano”. Quell’insegnante che sì, sarà stato controcorrente ma certamente insensibile di fronte al malessere del suo studente, viene stroncato da Viola, una degli studenti della classe “maledetta” protagonista del film di Chiesa. E il giudizio lapidario sul film lo lancia proprio al giovane professorino soggiogato dal personaggio di Keating, ansioso di redimere quel gruppo di sfigati ma accecato dall’ideologia ribellistica.
È una commedia, Classe Zeta, ma fa riflettere sulla scuola in generale e su quella di oggi, in particolare. Fa molto riflettere. Il film racconta di una classe di soggetti difficili, svogliati, dei semi-teppisti, che nel disinteresse e incapacità dei professori, il preside (Alessandro Preziosi) dalla mentalità manageriale (davvero stile Buona scuola degli esordi) relega in uno spazio tutto per loro, per non compromettere il lavoro degli altri, quelli “normali”, quelli bravi. È la classe H ma in realtà è quasi una classe differenziale, un recinto, alla faccia del concedere a tutti le stesse opportunità di partenza, che dovrebbe essere il principio della scuola secondo la Costituzione. No, il gruppetto di studenti, la bella fatale (Greta Menchi che è una youtuber nella realtà), i gemelli cinesi, il ragazzo erotomane, l’altro introverso, il fanatico youtuber, e un altro facile agli scatti d’ira, costituiscono un caravanserraglio umano forse un po’ esasperato ma per certi versi rappresentativo di quella generazione Z, la prima tutta digitale, “smart”, ma anche molto sola e dalle relazioni difficili.
La particolarità del film è che il regista – che pure ha dei figli adolescenti – si è voluto calare nell’“universo zeta” rivolgendosi a un osservatorio sui generis. Da qui la collaborazione di ScuolaZoo, un sito che già dal nome dice tutto: per metà informazione e materiali sui problemi che ogni studente incontra a scuola – soprattutto in vista dell’esame di maturità – e per metà di divertimento con una visione più leggera della vita scolastica, compresi i viaggi in Europa. «Con 2,8 milioni di followers su circa 3 milioni di studenti delle superiori abbiamo una panoramica quasi completa sugli studenti di quell’età», dice Paolo De Nadai, 28 anni, il fondatore del sito e del gruppo OneDay, una Srl che fattura 10 milioni di euro tra ScuolaZoo e altre startup e che dà lavoro a 60 persone di cui il più giovane ha 19 anni e il più vecchio 33. I ragazzi italiani scrivono in chat, dialogano con ScuolaZoo, chiedono soluzioni pratiche per risolvere problemi scolastici – c’è anche una giurista nello staff – ma soprattutto si raccontano.
E non sono gli “sdraiati” su cui Michele Serra ha scritto un libro. «I ragazzi di oggi vanno veloci, ricevono mille stimoli, hanno un sacco di opportunità eppure si trovano ancorati sulla sedia davanti a quel banco per sei ore» dice Paolo De Nadai. Il quale è favorevole all’alternanza scuola-lavoro «e a tutte quelle attività extracurricolari che danno una risposta al tempo che corre». I tempi sono cambiati e anche i professori sarebbero disponibili a cambiare metodo di insegnamento, al di là della lezione frontale. «Loro lo vorrebbero ma sono bloccati dalle adempienze ministeriali, dalle prove Invalsi e poi non si può pensare di risolvere la lezione frontale con la lavagna luminosa. La risposta è andare a vedere una mostra, è parlare di attualità, non solo di autori d’epoca…», continua il fondatore di ScuolaZoo.
Nel film Classe Zeta il povero professor Andreoli (Andrea Pisani) è sottoposto a scherzi feroci, mobbizzato dai ragazzi, ma poi alla fine loro comprendono che senza di lui sono perduti, che correranno veloci sì, ma verso la bocciatura. Mentre il prof abbandona il mito Keating per calarsi di più nella realtà umana dei ragazzi, loro accetteranno di studiare, magari in gruppo, con un sistema di autoaiuto che poi alla fine funziona. Dicevamo che a modo suo il film di Guido Chiesa è un motivo di riflessione anche sulla Buona scuola che si trova – non sempre naturalmente – a dover confrontarsi con una categoria di studenti come quella del film. È nel finale che si scontrano le due posizioni, quelle del preside manager e quelle di un professore più umano (Antonio Catania), il quale mette bene in evidenza quello che è un concetto cardine della vera buona scuola: comprendere i ragazzi e insegnare bene vanno di pari passo. Non è possibile una visione schizofrenica dell’apprendimento, anche perché a scuola va di scena una relazione umana, non dimentichiamolo. E il film di Chiesa lo dimostra ampiamente.