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È morto Fidel Castro, il rivoluzionario amico di Che Guevara che conquistò Cuba

È morto Fidel Castro. La notizia della scomparsa del leader maximo è stata data dal fratello Raul in un annuncio ufficiale diffuso in diretta dalla tv nazionale. Fidel aveva lasciato il potere a Raul nel 2006 proprio a causa di una malattia, i cui dettagli non sono mai stati rivelati. La morte è avvenuta alle 22.29 ora cubana (le 4.29 italiane).

In questa gallery alcune foto per ricordare i momenti salienti della vita di Fidel Castro, che con l’amico di Che Guevara portò la rivoluzione in Sud America.

 

«Il peggiore dei sacrilegi è il ristagno del pensiero»

Fidel Castro

 

Nella foresta, durante la rivoluzione
Nella foresta, durante la rivoluzione

Con il Che
Con il Che

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Con Nikita Krushev all'Onu
Con Nikita Krushev all’Onu

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A Berlino Est
A Berlino Est

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Il baseball è lo sport nazionale di Cuba
Il baseball è lo sport nazionale di Cuba

Tagli ai fondi per l’Ilva e per 900 lavoratori portuali. Emiliano: «Talmente assurdo che potrebbe sembrare che il governo ce l’abbia con me»

Momenti di tensione tra polizia e manifestanti, durante la protesta contro il premier Matteo Renzi in visita a Taranto, per la firma del Contratto istituzionale di sviluppo per la città con il presidente della Regione Michele Emiliano, Taranto, 29 luglio 2016. ANSA/MAURIZIO INGENITO

Ancora un duro colpo per l’Ilva di Taranto e soprattutto per gli abitanti della martoriata città pugliese. La Regione si aspettava cinquanta milioni per fronteggiare l’emergenza sanitaria dovuta ai veleni emessi dall’acciaieria, e invece è arrivata la doccia fredda. Quei soldi finalizzati a potenziare strutture, personale e attività diagnostiche, non arriveranno. L’ha deciso la Commissione Bilancio in nottata. Nonostante fossero già stati concordati, con apposito emendamento alla manovra Bilancio, dal sottosegretario Claudio De Vincenti e dal ministro Beatrice Lorenzin con il governatore pugliese Michele Emiliano.
Intervento economico fondato su dati epidemiologici – pubblicati da uno studio richiesto dalla Regione stessa – che fotografano una situazione sempre più allarmante: l’inquinamento provocato dall’impianto siderurgico colpirebbe soprattutto i bambini della città del mare piccolo.

Un dietrofront che lo stesso emiliano non sa spiegarsi: «Davvero non ci sono parole. È un passo indietro che non ha spiegazioni», ha detto a Left. «Siamo affranti e increduli per questa virata notturna». Il governatore aveva pubblicato il suo sconcerto su facebook.

E lei, nel ruolo di governatore, come intende procedere? «Avevamo costruito un percorso con i deputati, con l’onorevole Boccia (presidente commissione Bilancio, ndr), col governo… e con le Regioni, che alla Conferenza Stato-Regioni hanno votato perché l’emendamento passasse. Anzi, voglio ringraziarle, perché spostare il denaro sulla Puglia significa toglierlo alle altre, e in un momento del genere è un atto di estrema generosità. Ora quello che posso fare, quello che veramente conta, è aumentare la pressione dell’opinione pubblica in maniera che il governo capisca l’errore che ha commesso». Chiama alla mobilitazione, Emiliano.
Solitamente molto fumantino, è più esterrefatto che arrabbiato. “Affranto”, come lui stesso ci dice: «Davvero non ho capito che delitto abbia commesso Taranto».

Taranto o lei, governatore?
«(Ride amaro) Io non conto niente. Quello che conta a Taranto sono le persone».

Cosa farà se il governo non dovesse aggiustare il tiro?
Io spero sempre che le cose così clamorosamente giuste alla fine vincano. Devo continuare a pensare che superato un momento che non so definire, di difficoltà a capire il momento? (ipotizza) il governo capisca di aver fatto un autogol anche nei confronti di sé stesso. Certo io non posso credere che il motivo sia quello a cui lei ha alluso. Ma certo, è talmente inspiegabile l’inciampo su una questione di tale delicatezza, che è evidente che tutta l’Italia pensa quello che lei pensa».

Tuttavia, quale che sia il motivo, «è fondamentale che, se non a tutela dei cittadini, almeno per quella della propria immagine, il governo corregga il tiro». Anche perché, ci confida il presidente pugliese, «Ci siamo accorti tra le pieghe che sono saltate altre due cose, certamente di minore entità, ma allo stesso modo importanti: la statalizzazione del conservatorio Paisiello, vittima di una riforma incompleta, quella delle Province». L’Istituto, al suo duecentesimo anno di vita, subisce il vulnus del passaggio di competenze, restando privo di un’istituzione di riferimento. Motivo per cui da un anno – e per un altro anno, è la Regione a farsene carico, pagando stipendi e garantendone la sopravvivenza per un esborso di 700mila euro l’anno.
E seconda cosa: «Non è passato l’emendamento per sostenere la cassa integrazione dei 900 lavoratori portuali». E non stiamo parlando di bruscolini: 18, 1 milioni per il 2017 e 14 per il 2018.
Denaro che non solo è fondamentale per il rilancio del porto di Taranto, «sul quale il ministro Delrio ha speso tanto energie e noi centinaia di migliaia di euro», prosegue Emiliano. Quel finanziamento serve alle famiglie dei lavoratori, ma anche a mantenere la professionalità che questi rappresentano e che serve a farlo funzionare»

Sempre più tesi dunque, i rapporti fra il potere centrale e quello regionale, in una dinamica che sembra presagire tristemente alle future dinamiche Stato-Regioni previste dalla riforma costituzionale.
«Avevo creduto molto al rapporto con il governo – osserva il presidente della Regione – ma è evidente che così, non si può lavorare. e senza collaborazione, non si può governare».

Un altro me. Il film sui condannati per violenza sulle donne vince il premio del pubblico

Un altro me

Nella giornata internazionale contro la violenza sulle donne, la 57/a edizione del Festival dei popoli  si è aperto a Firenze con Un altro me il film che Claudio Casazza ha girato all’interno del carcere di Bollate, il film che ha ricevuto il premio del pubblico il 2 dicembre.

Sergio, Gianni, Giuseppe, Valentino, Enrique sono stati condannati per reati sessuali e una volta usciti potrebbero commettere di nuovo quel reato. E il fatto che più colpisce la maggior parte di loro ne parla lucidamente come di una realtà “normale”,in certo modo costituzionale del proprio essere uomo, pensando la sessualità come fatto ormonale, come scarica, non come rapporto fra due identità diverse.

Guardando il docufilm Un altro me, il solito frasario giornalistico che parla di «raptus», «gelosia»,  «passione che fa impazzire» mostra tutta la sua totale mancanza di aderenza alla verità. Alcuni uomini che qui hanno accettato di parlare e di farsi riprendere, in sedute di gruppo con gli altri detenuti, stimolati da criminologi, psicologi e terapeuti, non ritengono una violenza inserire un trapano “per gioco” nella vagina o cercare di farsi la prima bella ragazza che vede per strada, come se fosse solo una bella carrozzeria, senza minimamente domandarsi chi sia, cosa senta, cosa pensi. Uno di loro ammette che se non entrerà di nuovo in azione una volta fuori dalla prigione sarà solo perché lucidamente pensa: «se non sei un handicappato, se non sei stupido, non vuoi finire di nuovo in galera»,  il che potrebbe anche voler dire diventare più scaltri, più “bravi” reiterare la violenza senza farsi beccare.

Un ragazzo dall’accento straniero, condannato per violenza sessuale, ascoltando la testimonianza di una vittima che ha subito violenza fin da bambina,  con un soffio di voce, profondamente toccato, le chiede scusa per quello che altri le hanno fatto. Ma  quel commosso barlume di consapevolezza  resta un unicum. Le altri intervistati ci mettono davanti alla patologia di uomini che non arrivano  a comprendere a livello emotivo che cosa significa voler dominare l’altra, metterla in condizione di inferiorità,  che non sembrano vedere profondamente quali ferite genera psichicamente e fisicamente.  La maggior parte di loro non si considera un malato di mente, non ha consapevolezza  della propria distruttività della propria violenza. Con totale distacco emotivo, davanti alla macchina da presa registrano di aver commesso un reato  in base alla condanna.  Eppure,  se guardiamo alla proprietà di linguaggio con cui parlano o scrivono, appaiono mediamente istruiti, perfettamente in grado di intendere e volere. La maggior parte di loro non sembra provenire da situazioni sociali di marginalità estrema. Qualcuno ha addirittura strutturato una convinzione che la propria sessualità sia solo un po’ più ardita del normale nell’orchestrare giochi erotici estremi.  La misoginia, una mentalità violenta, l’idea che se il gioco sfugge di mano è colpa della donna provocante, li accomuna tutti quanti.

«Le violenze sessuali rappresentano un problema grave per la nostra società perché genera esiti distruttivi nelle menti e sui corpi delle vittime e delle loro famiglie» dice il ciminologo Paolo Giulini che nelle note che accompagnano il docufilm denuncia: «La pena detentiva per gli autori di reati sessuali si è dimostrata inadeguata e insufficiente come unica forma di tutela e risarcimento nei confronti delle vittime e della società in generale. Il nostro progetto è una sfida tesa a dimostrare che un approccio scientifico e sistematico di riabilitazione è un modo etico ed efficace di proteggere la collettività, ridurre le vittime e prevenire i comportamenti devianti».

La violenza sulle donne non solo agita, ma culturalmente radicata e inconscia, è il tratto più inquietante che emerge da questo film che racconta  il lavoro terapeutico dentro il carcere senza dare giudizi, lasciando che sia lo spettatore a farsi la propria idea, a confrontarsi con quello che vede sullo schermo.  Ed è questo il merito maggiore di questo lavoro che non sottende la solita fondania del “male  oscuro e ancestrale” che sarebbe in ciascuno di noi, né dall’altra parte  parla solo di casi così estremi da far sentire lo spettatore al riparo, dandogli alibi per chiamarsi fuori da una riflessione sulla violenza maschile. Se come dicono i dati Istat almeno tre donne su dieci hanno subito violenza – e parliamo solo dei casi denunciati – significa che il problema culturale è vastissimo. Il fatto che uomo e donna siano uguali in quanto esseri umani, ma allo stesso tempo diversi, culturalmente viene ancora tradotta in termini di superiorità ed inferiorità, viene letta in termini gercarchici. E è su questo nodo culturale resta un lavoro enorme da fare.

Il docufilm, prodotto da GraffitiDoc, è stato presentato venerdì 25 novembre, al cinema La Compagnia di Firenze. In sala ci saranno la senatrice Pd Valeria Fedeli e il criminologo Paolo Giulini, coordinatore dell’Unità di Trattamento Intensificato per autori di reati sessuali della Casa di Reclusione di Bollate a Milano.

La violenza sulle donne è il tema di copertina di Left in edicola dal 26 novembre

 

SOMMARIO ACQUISTA

La presentatrice Tv nera critica il folklore olandese. Online piovono minacciata e insulti

L’Olanda è a pochi mesi dalle elezioni e anche qui, come in Francia e la prossima domenica 4 dicembre, quando in Italia voteremo per il referendum, per le presidenziali in Austria, i temi al centro dello scontro politico non sono l’economia o le questioni internazionali la gli immigrati, le tradizioni, la globalizzazione come categoria un po’ astratta.

L’ultima, orribile, vicenda riguarda Sylvana Simons, figura nota del panorama Tv dei Paesi Bassi che di recente ha deciso di candidarsi alle elezioni. Piccolo particolare – e ragione per la quale Simons si candida – la nostra è nera. Il partito per cui si candida si chiama Denk (pensa) ed è stato fondato da due ex deputati laburisti di origine turca.

La vicenda è di quelle semplici e brutte: giorni fa è comparso in rete il video di un linciaggio, con al posto della faccia del linciato, quella della stessa Simons. Nel video c’erano anche una donna nera nuda che ballava una canzone dal titolo “Oh Sylvana”, che dice tra le altre cose «Perché non fai le valige e te ne vai» e Zwarte Piet, Piet il nero, personaggio folkloristico del Natale olandese, aiutante di Santa Claus dalla pelle nera – e originariamente un po’ malefico, come del resto anche Santa, che donava ai buoni, ma puniva severamente i cattivi. Oltre all’orrore dei video, a Simons sono arrivate anche minacce di morte e insulti. A lei e alla sua famiglia – ai figli è anche capitato di vedere il simpatico video. Simons è arrivata in Olanda a 18 mesi e non ha idea di essere altro se non olandese. «Ma vedo limiti alla mia cittadinanza se mi avventuro a parlare di certi temi». Di tradizione e cultura possono parlare solo gli olandesi alti e bianchi.

La ragione per cui Simons ha attirato tanta rabbia sono proprio i suoi commenti su Zwarte Piet, giudicato un’icona razzista, figlia di un tempo in cui l’Olanda era una potenza coloniale e i negretti potevano essere rappresentati come meglio si credeva. Come spesso accade nel folklore la connotazione negativa si perde e l’idea che Pete il nero sia un’iconcina razzista viene dimenticata. Ma le società complesse contemporanee, come quella olandese, la fanno riemergere e ci fanno ricordare come certe immagini siano figlie degli anni dello schiavismo.

Il Paese è attraversato da anni da un feroce dibattito sull’islam, e la cultura nazionale, prima con l’omicidio del controverso regista Theo Van Gogh, poi con il successo dei partiti populisti, di Pym Fortuyn prima e di Geert Wilders oggi, e questa vicenda non farà che accentuare questa specie di guerra culturale che a giudicare dai sondaggi vede prevalere la parte della società meno aperta alla diversità.

Dank ha sporto denuncia, una persona si è autodenunciata per il video e la richiesta è quella di far proteggere la candidata. Il leader xenofobo Geert Wilders ha invece replicato: «Il modo migliore per proteggere Symons e il suo partito sono ritirare la candidatura e sciogliersi». Wilders ha aggiunto che trova razzista l’idea che gli olandesi debbano rinunciare alla loro tradizione di Piet il nero.

Per dare un’idea del tasso di razzismo e tensione accettato in questi tempi nella società olandese, c’è il commento di un presentatore di programma di calcio alla radio che ha detto di Simons «se ne va in giro fiera come una scimmia», mentre un conduttore radiofonico ha scherzato facendo grugniti da gorilla e poi intervenendo per dire «stai buona Silvana».

In Olanda si vota a metà marzo 2017 e al momento i sondaggi indicano un testa a testa tra i liberali del VVD e la destra xenofoba del PVV di Wilders. La sinistra è esplosa in vari pezzi, con i laburisti che passerebbero dal 38% del 2012 al 12%.

 

Lobbismo in salsa tedesca: Vuoi un ministro a tavola? Costa 7mila euro

La tua ditta vuol incontrare un politico di primo piano o, forse, addirittura un ministro del Governo? Sborsa qualche migliaio d’euro e se ne può parlare. Non succede in Italia, ma in Germania, dove questa settimana si è parlato molto di un’inchiesta realizzata dalla Zdf che ha portato a galla gli affari dell’agenzia NWMD, affiliata al Partito socialdemocratico tedesco (Spd).

Il servizio video si può consultare sul sito del programma Frontal21 e documenta come, in cambio di un cifra tra i 3mila e 7mila euro, un privato, tramite l’intermediazione della NWMD, possa pranzare insieme a un ministro del governo tedesco. Come è possibile?

In realtà il “pranzo di lavoro” è solo l’ultimo step di un servizio di consulenza più ampio che l’agenzia mette a disposizione dei privati. In soldoni, il titolare di un’azienda si mette in contatto con l’agenzia, innanzitutto per capire quali siano i referenti chiave per il proprio interesse economico. Infine, a seconda delle disponibilità dei politici stessi, il cliente viene invitato a un evento – spesso un pranzo – che, però, può essere tranquillamente sponsorizzato da terzi.

Il problema è che, a parte il nome dello sponsor ufficiale, non rimane alcuna traccia scritta di chi partecipi agli incontri. Insomma, all’ombra delle così dette attività – tecnicamente legali –  di “sponsoring” di eventi da parte di aziende, si svilupperebbero in realtà incontri e chiacchiere a quattr’occhi più ampi tra politica e mondo del business.

Va specificato che, ufficialmente, i soldi che i clienti versano all’agenzia non vanno in mano né ai politici, né ai partiti. Come spiega Frontal21 nel servizio, si sviluppa una sorta di catena di società private, a mo’ di “scatola cinese” per intenderci, per cui non è il partito a offrire il servizio di “messa in contatto”. Nel caso specifico, l’agenzia NWMD – una società a responsabilità limitata – sarebbe controllata da altre due entità giuridiche prima di entrare in contatto con la Spd.

L’inchiesta ha destato scandalo, visto che non è la prima volta che in Germania si hanno notizie di questo tipo. Solo 6 anni fa infatti, il partito dei Cristiano-democratici di Angela Merkel aveva dovuto far fronte a quello che venne poi definito lo scandalo “Rent-a-Rüttgers” (“Affitta un Rüttgers”, tdr.). Lo scandalo prese il nome dall’allora Primo ministro della regione Nord-Reno Westfalia, il quale, in cambio di bonifici di qualche migliaio di euro, si recava a incontri con privati e aziende. In quell’occasione, il Segretario generale della Spd, Sigmar Gabriel aveva detto che «la Spd rimane un partito aperto con cui può entrare in contatto chiunque, indipendentemente dal livello di reddito che si possiede».

Secondo l’inchiesta di Frontal 21, nel corso degli ultimi 5 anni l’agenzia NWMD avrebbe organizzato meno di 10 incontri all’anno tra politici e privati. Tra le figure politiche di primo piano coinvolte vengono citati: Heiko Maas (Ministro della giustizia), Andrea Nahles (Ministro del lavoro), Barbara Hendricks (Ministro dell’ambiente), Manuela Schwesig (Ministro della famiglia).

Proprio Heiko Maas è stato intervistato a proposito dalla troupe della Zdf. Il Ministro ha affermato che «le modalità di finanziamento degli incontri a cui partecipa non sono di sua competenza». Nel caso specifico, il Ministro Maas aveva partecipato a un pranzo “sponsorizzato” dalla banca ING-DiBa per parlare del tema “Protezione dei dati personali nell’epoca digitale”. Anche il Segretario generale della Spd, Sigmar Gabriel, ha affermato di «non sapere nulla di questo tipo di incontri ristretti sponsorizzati da aziende e privati».

Sebbene non stiamo parlando di giri d’affari clamorosi, secondo Frank Saliger, un esperto legale intervistato da Frontal 21, «esiste un dubbio fondato che si abbia a che fare con un aggiramento delle regole sul finanziamento ai partiti”. Gli fa eco Sophie Schönberger dell’Università di Costanza: «Non è possibile che tramite la copertura di una semplice società a responsabilità limitata, diventi lecito ciò che è vietato dalla legge». Sul tema si è espressa anche Christina Deckwirth dell’organizzazione non governativa “LobbyControl”: «La politica non può, e non deve assolutamente, dare l’idea di essere a disposizione del miglior offerente».

Spunta un dossier contro De Magistris. Il sindaco di Napoli: «Vogliono farmi fuori politicamente»

Il sindaco di Napoli, Luigi de Magistris in visita alla mostra fotografica del ' World press photo ' allestita in Villa Pignatelli a Napoli, 4 novembre 2016. ANSA / CIRO FUSCO

“Inchiesta Romeo, dossier contro sindaco de Magistris”. Ieri sera, intorno alle 20, il flash dell’Ansa: «Un ex dirigente del Comune di Napoli, Giovanni Annunziata, intendeva raccogliere documentazione “compromettente” per danneggiare il sindaco di Napoli, Luigi de Magistris, alla vigilia delle ultime elezioni amministrative». È l’ultimo colpo di scena dell’inchiesta sui rapporti fra il gruppo Romeo e le pubbliche amministrazioni, condotta dai pm Henry John Woodcock, Enrica Parascandolo e Celeste Carrano, coordinati dal procuratore aggiunto Filippo Beatrice: soggiorni in alberghi di lusso a pubblici funzionari in cambio di pareri e autorizzazioni favorevoli.

L’inchiesta per concorso in corruzione riguarda una funzionaria della Sovrintendenza archeologica di Roma e due funzionari del Comune di Napoli che avrebbero favorito l’impresa Romeo Gestioni. Adesso, un testimone interrogato, Carlo Vadorini, dice ai giudici che l’ex dirigente comunale del Servizio patrimonio Annunziata, oggi indagato e ancora alle dipendenze del Comune, alla vigilia delle elezioni raccoglieva presso gli uffici documenti “compromettenti” per danneggiare de Magistris nell’interesse di una parte politica avversa. Ma omette di specificare quale sia la parte avversa.

Questa mattina, il sindaco di Napoli si è presentato davanti ai giornalisti. La voce è provata, ma decisa: «Non conosco nulla di questa vicenda, l’ho appreso ieri dall’Ansa, come voi. Ma ho fatto a lungo il magistrato e oggi faccio il sindaco, e un’idea me la sono fatta». Che idea si è fatto il sindaco de Magistris? «Da quando siamo entrati a Palazzo San Giacomo abbiamo scardinato un sistema, tra questi c’era la vicenda Romeo, non c’è dubbio. Tante volte abbiamo detto che intervenire su quella vicenda, internalizzare la gestione del patrimonio è stato rompere un grumo che portò anche a vicende giudiziarie molto complesse, dove al di là dell’esito penale, si comprendeva la capacità tentacolare di Romeo di arrivare ovunque. Quindi quello che leggo non mi meraviglia, così come ho sempre detto che in questi anni da sindaco, ma anche quando facevo il magistrato, hanno fatto, stanno facendo e faranno di tutto per farmi fuori da un punto di vista istituzionale. Questo l’ho sempre pensato, non lo dico ora. Ma per ora rimango cauto perché mi affido all’autonomia, alla professionalità e alla competenza della magistratura napoletana».

Anche sui suoi avversari politici, de Magistris decide di affidarsi alla magistratura.
«I miei avversari politici non sono pochi, e non è una novità che qui abbiamo visto una campagna elettorale in cui hanno fatto di tutto per screditare, colpire, diffamare: Non mi meraviglia, ma se così fosse non sarebbe che la punta di un iceberg». E adesso? «Si tratta di comprendere cosa è accaduto», rispode il sindaco. «Anche perché parliamo di persone che hanno lavorato e lavorano all’interno del Comune di Napoli, e che invece di lavorare costruiscono dossier contro il sindaco eletto dal popolo… non è proprio una bella notizia e non è una cosa da sottovalutare».

Prenderà provvedimenti nei confronti di queste persone? «Vediamo, tempo fa a questa domanda risposi che quando c’è un’indagine, ferma restando l’assoluta presunzione di non colpevolezza, non è opportuno che le persone coinvolte si continuino a occupare di quelle vicende. Quando abbiamo affrontato la vicenda Romeo è stata una cosa enorme, perché la capacità di interrelazioni, correlazioni e interessenze che si son verificate sono state incredibili; è stata una vera e propria battaglia, chiamiamola così. Istituzionale, democratica e politica. I collegamenti e le alleanze che quell’imprenditore ha costruito negli anni nella nostra città sono davvero tante. E non si pensi solo alla politica, sia ben chiaro».

L’aula al voto sulla manovra referendaria

Renzi fa campagna per il sì
Il presidente del Consiglio, Matteo Renzi, durante il suo intervento al Fornaci Cinema Village di Frosinone, 07 novembre 2016. ANSA/UFFICIO STAMPA PALAZZO CHIGI-TIBERIO BARCHIELLI +++ ANSA PROVIDES ACCESS TO THIS HANDOUT PHOTO TO BE USED SOLELY TO ILLUSTRATE NEWS REPORTING OR COMMENTARY ON THE FACTS OR EVENTS DEPICTED IN THIS IMAGE; NO ARCHIVING; NO LICENSING +++

Collegandovi al sito della Camera, nelle prossime ore, potrete godere di qualche scampolo di dibattito parlamentare sulla legge di Bilancio. Condomini, agricoltura, asili nido, disabili, scuola, pagamenti elettronici. Si parla di tutto, procedendo voce per voce, emendamento per emendamento. È più divertente di quel che si possa credere, anche perché, noterete subito, è tutto un citare il referendum, che è una cosa curiosa, perché con il bilancio la riforma c’entra poco o niente – perché poco o niente è il risparmio che porterà il nuovo Senato, soprattutto in relazione allo sconfinato bilancio generale.

Il disegno di legge di Bilancio, infatti, è al voto della Camera, e verrà approvato con voto di fiducia prima della pausa dei lavori parlamentari che scatta lunedì proprio per via del referendum costituzionale del 4 dicembre. Che si prende così la scena e compare qua e là negli interventi dei deputati. Con alcuni che notano giustamente (come accade ogni volta, ma come accade ancora di più con una scadenza elettorale imminente) che durante l’esame in commissione Bilancio il testo della manovra si è arricchito di alcune modifiche per accontentare vari settori dell’elettorato. «Il governo sembra interessato solo al dibattito referendario», dice ad esempio Roberto Occhiuto di Forza Italia: «Il governo ci dice che il destino del Paese dipende dal referendum, mentre utilizza la legge di Bilancio, da cui veramente dipende il destino del Paese, solo come veicolo per qualche spot. Nella legge di bilancio non ci sono interventi strutturali, solo mance e bonus utili alla campagna elettorale».

C’è chi cita le pensioni, per esempio, indicando come misura a doppio fine sia l’ampliamento della platea delle lavoratrici che possono accedere attraverso «opzione donna» al pensionamento anticipato – una misura di suo non negativa, anche se non induce alcuna riflessione sul mito dell’innalzamento dell’età pensionabile. E c’è chi cita anche gli esodati, dove sale da 27.700 a 30.700 il numero di chi potrà beneficiare dell’ottava salvaguardia. Molti hanno evidentemente letto il Fatto quotidiano, che ha calcolato «a spanne», in 15 milioni e dispari «gli italiani, e i voti, solleticati dalla manovra finanziaria 2017, ieri licenziata dalla commissione Bilancio della Camera e su cui oggi il governo porrà la questione di fiducia».

«Pochi soldi, strategia chiara: da un lato i soliti favoriti – le imprese, gli amici da ringraziare (Coldiretti) o da conquistare (pensionati) – dall’altro una pioggia di bonus a cascata, rimpinguata dall’ultima tornata di emendamenti approvati ieri: italiani all’estero; Lsu; scuole private; grande stampa; Expo e via così. È entrato di tutto, tranne la web tax sui grandi gruppi digitali o l’Imu alle piattaforme petrolifere (e la cedolare secca per Airbnb)», così scrive il Fatto. «Ecco una sintesi dell’operazione “vendo tutto” del premier per conquistare il voto. Dopo il 4 dicembre, si vedrà quel che davvero resta».

L’accusa non è così pretestuosa. Sulla cedolare secca per Airbnb, ad esempio, fila il discorso di Giovanni Paglia, deputato di Sinistra Italiana: «La tassa su Airbnb», spiega Paglia, «non è stata possibile portarla in fondo per l’atteggiamento del presidente del Consiglio, che per atteggiarsi da quello che non mette nuove tasse ha spacciato per nuova tassa quella che non lo era». Anzi. «La cedolare secca su Airbnb, oltre a far emergere molto nero, era di fatto una riduzione del carico fiscale, perché si diceva a chi avrebbe dovuto dichiarare nella propria aliquota Irpef i guadagni derivati dall’affitto della propria abitazione, o di una stanza, che se la sarebbe cavata con una flat tax del 15 per cento. Renzi invece l’ha cancellata con un tweet al grido “non introdurremo nuove tasse”. Ribalta la verità e lo fa solo per ragioni elettorali».

«L’Artico è a un punto di non ritorno»: temperature 20 gradi sopra la media

Arctic sea ice was at a record low wintertime maximum extent for the second straight year. At 5.607 million square miles, it is the lowest maximum extent in the satellite record, and 431,000 square miles below the 1981 to 2010 average maximum extent. ANSA/ NASA Goddard's Scientific Visualization Studio/C. Starr +++ NO SALES - EDITORIAL USE ONLY +++

C’è Donald Trump che ha annunciato di voler tagliare i fondi NASA per la ricerca sul cambiamento climatico. Una scelta lungimirante a giudicare dalle notizie di oggi.

Gli scienziati che studiano l’Artico hanno lanciato un allarme, l’ennesimo, avvertendo che lo scioglimento rapido della calotta di ghiaccio rischia di innescare dalle conseguenze catastrofiche. Le temperature registrate nel 2016 sono di 20 gradi (venti, avete letto bene) più alte della media e la quantità di ghiaccio marino era stata così bassa solo nel 2012.

Così si legge nell’Arctic Resilience Report, nel quale ci si spiega che la differenza tra il dato normale e quanto sta capitando in questi mesi potrebbe mettere in moto meccanismi che a loro volta avrebbero conseguenze sugli equilibri degli ecosistemi di tutto il pianeta.

Il rapporto parla di «punti di non ritorno» che potrebbero essere, appunto, irreversibili. Nella regione artica, i punti critici individuati nella ricerca redatta da 11 organizzazioni, tra cui il Consiglio artico e sei università, comprendono: la crescita di vegetazione nella tundra, che sostituisce la neve e il ghiaccio riflettente con vegetazione scura, assorbendo più calore; aumento delle emissioni di metano, un potente gas serra, dalla tundra che si scalda; cambiamenti nella distribuzione della neve che riscalderebbero l’oceano, con conseguente alterazione in aree lontane quanto l’Asia, il crollo di alcune importanti attività di pesca artica, con effetti a catena sugli ecosistemi oceanici di tutto il mondo.

Violenza contro le donne: dai tribunali alla scuola 5 cose da fare

Carla Caiazzo, si è letto ieri sui giornali, ha un sogno: che un giorno si arrivi a una legge che punisca l’”omicidio d’identità”. Lei è una delle tante vittime della violenza maschile: il suo compagno le ha dato fuoco deturpandole il viso, mentre tra l’altro, era incinta di una bambina, figlia del suo aggressore. Ora lui è stato condannato a 18 anni di carcere e lei ha ripreso a vivere. Ha costituito un’associazione che si chiama Io rido ancora, perché, spiega quando lui gli stava dando fuoco gridava “Ora voglio vedere se ridi ancora”. “Omicidio d’identità” Carla lo spiega perché “Il viso è quello che ci consente di riconoscerci e renderci riconoscibili alla società”. Omicidio d’identità però è come se volesse indicare qualcosa di più profondo del volto deturpato. E’ come se significasse cancellazione della identità personale, dell’essere donna, di sentimenti, pensieri, speranze. Tu non vali niente, tu non sei niente. E questo è un fenomeno purtroppo molto frequente, senza che entrino in azione acidi, taniche di benzina, coltelli o pistole. La violenza contro le donne è non solo perpetrata sul corpo, ma anche sulla mente. La storia di Carla segue di poco tempo quella di Lucia Annibali, l’avvocata di Pesaro che fu sfregiata per volere del suo fidanzato, avvocato pure lui. Lucia insieme a Giusi Fasano ha scritto un libro Io ci sono (Bur) che è un viaggio nel dolore  ma anche un messaggio per tutte le donne affinché comprendano che dove c’è violenza non c’è amore. Carla e Lucia sono due donne che si sono ribellate e hanno trovato una loro nuova identità nel reagire alla violenza, anche se è avvenuto dopo essere state aggredite e aver rischiato la vita.

Ma prima di un’aggressione per prevenire la violenza o peggio ancora, il femminicidio cosa si può fare? E’ questo l’interrogativo che “scuote” il 25 novembre, la giornata internazionale contro la violenza sulle donne indicata dall’Onu nel 1999 tramite la risoluzione 54/34. La data, ricordiamo, voleva ricordare il giorno dell’assassinio avvenuto nel 1960 delle tre sorelle Mirabal che avevano cercato di contrastare il regime di Rafael Leonidas Trujillo, il dittatore che per trent’anni, dal 1930 al 1961, tenne in scacco la repubblica Domenicana. Che cosa fare contro la violenza è anche il filo conduttore della giornata di domani, 26 novembre, con la manifestazione a Roma promossa dalla rete #nonunadimeno e lo stesso filo lo si ritrova nell’assemblea nazionale su otto temi specifici che si terrà alla facoltà di Psicologia domenica 27. L’obiettivo è quello di stilare un piano nazionale femminista contro la violenza. Ce n’è bisogno, perché la convenzione di Istanbul del 2011, voluta dal Consiglio d’Europa e primo atto istituzionale con valore giuridico al mondo su questo tema, in Italia non è ancora applicata nella sua interezza. La Convenzione, che il nostro Paese ha ratificato nel 2013, poi con il varo della legge 119, prevede questi punti essenziali: prevenzione, protezione e sostegno delle vittime, perseguimento dei colpevoli e politiche integrate.

Occorre realizzare finalmente il piano straordinario d’azione contro la violenza di genere. Ci sono stati ritardi e risorse ripartite in maniera inadeguata. La stessa Corte dei Conti nella relazione del settembre 2016 rileva anomalie e lentezza da parte del Dipartimento pari opportunità, così come scarsa collaborazione da parte delle Regioni a cui spetta la competenza dei centri antiviolenza e delle case rifugio. Soltanto il 21 ottobre si è insediato l’Osservatorio che oltre ai ministeri competenti, comprende anche le associazioni che gestiscono i centri antiviolenza. Questi secondo la rete #nonunadimeno sono uno strumento fondamentale per la “fuoriuscita dalla violenza”.

Occorrono centri antiviolenza intesi come “laboratori sociali”. Dei centri e del loro futuro si parlerà in uno dei tavoli tematici durante l’assemblea nazionale del 27. “Non sono solo un mero servizio pubblico neutro, sono luoghi in cui si costruiscono saperi, progettualità, competenze”, si legge nel programma dei lavori. Insomma, i centri antiviolenza come “laboratori sociali”, che non possono essere “istituzionalizzati”, dicono le donne di #nonunadimeno. L’accoglienza se viene standardizzata sulla falsariga dei protocolli in sanità, finirà per respingere le donne che si rivolgono ai centri in un momento delicatissimo della propria vita. Tra l’altro, nel momento più pericoloso, anche per la loro incolumità fisica.

Occorre un cambiamento nelle aule di giustizia. Titti Carrano, avvocata e presidente di Dire, la rete che comprende 77 centri antiviolenza, è convinta della necessità che nei tribunali si debba cambiare linguaggio e anche mentalità: “Occorre una grande formazione da parte di tutti coloro che intervengono nei casi di violenza sulle donne: dai servizi sociali alle forze dell’ordine fino alla magistratura. Adesso accade che alcune leggi vengano applicate in modo diverso a seconda dei tribunali”. Non solo, può accadere che si verifichi il processo di rivittimizzazione della donna. Per cui o viene considerata in qualche modo responsabile oppure nell’affidamento dei figli il padre violento è posto nello stesso piano della madre vittima di violenza. “Ancora non si riconosce la gravità della violenza in famiglia e dei traumi che subiscono i figli”, sottolinea Titti Carrano. In sede civilistica c’è molto da cambiare ma anche nel penale con la mancata applicazione delle misure cautelari e l’inadeguatezza della tutela processuale delle vittime/testimoni.

Occorre un ribaltamento del linguaggio. Il cosiddetto sessismo prolifera nei giornali, nella pubblicità e nei social media. La sociologa Graziella Priulla ha scritto un corposo saggio – C’è differenza, Francoangeli, ristampa 2016 – in cui ripercorre la storia e i fenomeni più vistosi di un gap linguistico e culturale che vede le donne sempre in una situazione di discriminazione rispetto agli uomini. Dagli insulti ai proverbi, le donne sono sempre protagoniste a livello di corpo e di oggetto sessuale, da denigrare, naturalmente. Se poi pensiamo alla storia, alla filosofia e alla cultura, non è esagerato dire che sono 2500 anni che assistiamo al gender gap. Da Aristotele a Sant’Agostino la donna o è un uomo mancato o un essere spregevole. E’ un peso non indifferente che la cosiddetta “altra metà del cielo” si porta dietro.

Occorre una nuova cultura a cominciare dalla scuola. Per questo motivo anche la scuola può essere un momento fondamentale per gettare le basi per una uguaglianza, pur nella diversità, tra donne e uomini. Mentre il Ministero dell’Istruzione ancora non si decide a varare le linee guida sull’educazione sentimentale nelle scuole – il fronte cattolico è in agguato – e mentre la proposta di legge della deputata di Sinistra Italiana Celeste Costantino giace ancora in Commissione, le scuole si organizzano da sole, anche grazie a associazioni che cercano di aprire un varco su questo tema. Una di queste occasioni – il confronto tra studenti, psichiatri e insegnanti sul delicato rapporto tra uomini e donne – è in programma proprio oggi, al cinema Aquila (quartiere Pigneto, Roma). La giornata si intitola Se uccide non è amore (il programma qui) ed è promossa dal Municipio V e da Festarte in collaborazione con Ass. Amore e Psiche, La scuola che verrà, Cooperativa sociale di psicoterapia medica, la rivista scientifica il Sogno della farfalla e da Left. La mattina dunque l’incontro con i ragazzi e le loro domande agli esperti, mentre nel pomeriggio il tentativo è quello di andare alle radici della cultura che produce violenza. Per cercare idee, soluzioni, proposte. Partecipano donne e uomini di associazioni, psichiatri, avvocati, operatrici dei centri antiviolenza. Perché non si arrivi a commettere più un “omicidio d’identità”.

Di donne e violenza parliamo anche su Left in edicola dal 26 novembre

 

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Calamandrei ma non posso

Ma chi risponde di un Paese spaccato a metà sulla carta costituzionale come se fosse per una partita di calcio, un Paese stracciato come una riunione tra comari? Che ne dicono quelli che “la Carta Costituzionale deve unire e non dividere” e poi fingono di non vedere che la loro riforma si arrampica in una maggioranza parlamentare che ha avuto bisogno di recuperare il percoleato dell’umido in Senato e, comunque vada, sarà respinta o confermata da una risicata maggioranza?

Ci vuole il fisico per ritoccare la Costituzione: serve la capacità di guardare lontano e l’intelligenza di non cedere alla tentazione di diventarne testimonial. Comunque vada il 4 dicembre lo spirito costituente di chi credeva che le regole del gioco potessero essere modificate con una maggioranza larga e un lavoro di cucitura è già stato tradito. Se Renzi la smettesse di fare il Renzi forse potrebbe riconoscere che l’occasione s’è persa. Incontro, girando il Paese per i dibattiti sulla riforma, il rimpianto diffuso di chi crede che il capitale di speranza e l’occasione di allargare questa volta sia sembrata così vicina.

Avrebbe voluto essere Calamandrei, il premier, e invece sarà un riformatore stoppato o un riformatore risicato con comunque le macerie di un Paese che per anni s’è arrotolato sulla macchina piuttosto che cercare di consolidare un guida.

Mi diceva Dario Fo che i potenti quando non riescono a governare secondo le regole finiscono per diventare prepotenti cercando di allargarle per nascondere la propria incapacità di governo. È la favola del re nudo, è il travestimento per provare a galleggiare. Altro che Costituzione.

Buon venerdì.