Una lunga scia di femminicidi e di violenza contro le donne continua ad attraversare l’Italia ma non c’è ancora una sollevazione generale. È una emergenza strutturale, che non conosce tregua da anni, ma ancora non ci sono reazioni di massa come ci aspetteremmo. Anzi, sono tantissimi i tentativi di delegittimare le donne che hanno subito violenza. Sui media mainstream, sul web e non solo.
Siamo ancora sotto choc per lo stupro di Palermo con cui è stata doppiamente massacrata una ragazza di 19 anni, prima dal branco e poi da commentatori tv. Siamo sotto choc per la violenza, ripetuta e rimasta a lungo sotto silenzio di cui sono state vittime due bambine a Caivano agita da una gang di ragazzi e ragazzini cresciuti in un contesto di criminalità camorristica. Ciò che accomuna i due casi, oltre alle logiche mafiose, complici e omertose, è una dinamica di gruppo maschile violenta e perversa (lo dice persino il ministro Piantedosi). Come leggere queste azioni criminali? Sconvolge che i violentatori siano giovanissimi. Quale subcultura c’è dietro? Lo abbiamo chiesto alla professoressa Maria Gabriella Gatti, medico, psicoterapeuta con una lunga esperienza clinica riguardo all’età evolutiva e docente della scuola Bios Psichè.
Professoressa Gatti, come leggere le violente dinamiche di gruppo maschili e giovanili che abbiamo visto in azione a Palermo e Caivano e che si erano già manifestate a Roma in un ambiente sociale agiato con il cosiddetto “stupro di Capodanno” e in altre occasioni? Stare in gruppo è caratteristico dell’adolescenza, è un fattore di crescita, ma in questi casi è diventato darsi manforte per sopraffare ragazzine?
È normale nell’adolescenza che i ragazzi stiano insieme, si riconoscano tra pari, nelle molteplici difficoltà e insicurezze proprie di quest’età, che trasformando il corpo trasforma anche la psiche. Per i giovani la sessualità dovrebbe essere una meravigliosa scoperta, che apre le porte ad una nuova visione “dell’altro” che suscita sensazioni e immagini mai sperimentate, in una ricerca non sempre facile, ma che dà senso alla vita. In una fase così complessa dell’esistenza umana, l’identità viene messa alla prova: insieme gli adolescenti si sostengono e condividono le difficoltà delle nuove esperienze. Il gruppo di pari rappresenta una fase di transizione che facilita la separazione dai genitori, realizzazione psichica fondamentale perché si possa diventare uomini e donne con una propria identità definita. Questa dovrebbe essere la fisiologia, che noi adulti (come genitori, insegnanti, operatori dell’informazione, psicoterapeuti ecc.) dovremmo favorire e tutelare e nello stesso tempo mettendo in atto una critica continua nei confronti di quell’ideologia che vede nella sopraffazione dell’altro la realizzazione, comunque falsa, dell’essere umano. Su questo tema si dovrebbe avere un consenso più o meno unanime, almeno formale…
Ma quando si parla di violenza sulle donne, però non è così…
Di fatto, nonostante i legislatori abbiano emesso nuove o più numerose leggi e pene più severe, si constata che le storie di violenze e di uccisioni continuano ad accadere e vengono addirittura considerate eventi ineluttabili. A parte la denuncia e l’indignazione mediatica, non si intraprende alcuna ricerca per comprendere le cause dei crimini in questione che sono la conseguenza di un pensiero malato presente da millenni. La cecità affettiva della cultura dominante, negando l’identità e la realtà psichica della donna, finisce per limitare la concezione stessa di essere umano.
Vale a dire?
La violenza sulle donne non è solo sopraffazione, è molto di più: è non riconoscere loro alcuna identità umana e specifica realtà psichica. Le donne sono per molti uomini solo oggetto di possesso, adibite alla procreazione e alle cure familiari. Per giustificare questo pensiero “malato”, cioè non aderente alla realtà, si attribuisce la responsabilità dei crimini degli stupri ed abusi alle donne stesse che sarebbero colpevoli di seduzioni svianti, di costumi inappropriati e di esigere la propria libertà: insomma “il male” sarebbe nel genere femminile, che non avendo alcuna razionalità, necessiterebbe di un controllo maschile e sociale. È un pensiero delirante che ci portiamo dietro da millenni che impedisce una reazione corretta ed una trasformazione culturale.
Si tende a credere che le violenze accadano solo in determinati contesti degradati. È così?
Non si può pensare che la violenza di gruppo contro le donne, messa in atto dagli adolescenti di un quartiere di Palermo o nel Parco Verde di Caivano, possa accadere solo in ambienti socialmente molto degradati e come conseguenza di una sottocultura. È cronaca di tutti i giorni che queste violenze avvengono a tutte le latitudini e in tutti gli ambienti sociali. Gli atti criminosi vengono commessi anche da giovani che hanno un buon livello di istruzione scolastica e appartenenti a famiglie ben inserite nel tessuto sociale: siamo di fronte al prodotto di una cultura millenaria che nega appunto identità, libertà e sessualità alle donne. Non possiamo separare l’atto sessuale dall’intenzionalità degli aggressori, quando in essi c’è la volontà cosciente di ledere, sfregiare, distruggere la realtà psichica delle loro vittime.
Le leggi ci sono, vanno attuate, ma con tutta evidenza non bastano. Il ministro Valditara dice che bisogna fare formazione nelle scuole, in che modo andrebbe svolta?
Dovremmo chiederci cosa intendiamo per istruzione: una serie di nozioni e informazioni che vengono apprese in modo passivo senza stimolare minimamente il pensiero e l’identità personale? La scuola vuole alunni accondiscendenti e poco reattivi e raramente si apre la discussione su temi sociali ed etici, che eventualmente gli insegnanti fanno a proprio rischio e senza alcun sostegno. Penso che attualmente la scuola sia priva di strumenti che consentano la conoscenza della realtà umana: quest’ultima è tenuta, nella maggioranza dei casi, fuori dai rapporti scolastici e non considerata nei contenuti nelle varie materie d’insegnamento. Molte scuole hanno adottato gli sportelli con figure professionali di sostegno psicologico per gli studenti che vi vogliano accedere. Iniziative meritevoli che andrebbero comunque incrementate e approfondite.
Gli sportelli psicologici nelle scuole sono importanti presidi, purtroppo assenti a Caivano. Lì i violentatori hanno potuto agire indisturbati?
La vicenda di Caivano ripete purtroppo una lunga storia di violenza sulle donne proiettata in un tessuto degradato e malavitoso. I violentatori cercano come vittime bambine indifese che non hanno strumenti per reagire, si sentono così forti, anche se non sono altro che dei veri vigliacchi. Le vittime vengono sempre cercate tra le ragazze più timide e per annullare la loro volontà e consapevolezza si ricorre alla droga dello stupro o si approfitta di un momento di fragilità dovuto all’uso eccessivo di alcool e in questi casi si dice: se la sono cercata! Sicuramente Caivano è un quartiere dove la violenza è pressoché l’unica legge, ma quello che è accaduto alle due bambine e probabilmente anche ad altre merita una seria riflessione sulla complessità del fenomeno.
La lettera apparsa il 28 agosto su Repubblica del padre di una ragazzina vittima dello stupro di capodanno a Roma fa pensare, che ne pensa?
In questa coraggiosa lettera si coglie la gravità della lesione psichica subita da questa ragazza e la grande sofferenza che ne consegue. Molti adolescenti dopo abusi e violenze intraprendono comportamenti autolesivi e distruttivi sia fisici che psichici con vissuti di angoscia e di vuoto, fino al ritiro sociale. Uno specifico percorso psicoterapeutico può fornire non solo strumenti di comprensione ma ricreare un’identità che consenta nuovamente di aver fiducia negli esseri umani.
Quali sono le conseguenze che chi è stata violentata si trova ad affrontare? Vittorino Andreoli ha parlato di omicidio psichico rispetto a questi drammatici fatti, lei ne aveva già lungamente parlato su Left rispetto alla pedofilia.
Per gli adolescenti che hanno subito abusi è possibile far superare loro il trauma con uno specifico trattamento psicoterapico. Per i bambini la violenza produce un danno ancora più difficile da riparare per la loro identità meno strutturata e le minori difese: per questo motivo possiamo definire la violenza sui bambini un vero “omicidio psichico”, come ho più volte sostenuto. Con Andreoli non si può essere d’accordo sul fatto che ciascun uomo, come egli ha più volte affermato, è potenzialmente un assassino. Non siamo tutti figli di Caino e non abbiamo il marchio indelebile del peccato originale.