È una polifonia di voci per il cessate il fuoco e la fine della strage di civili a Gaza e in Cisgiordania. Nel libro "Palestina Israele, parole di donne" l'impegno di attiviste, politiche, artiste, giuriste, insegnanti che da anni lavorano per la risoluzione del conflitto e quello di nuove generazioni di donne. Le autrici presentano il volume il 13 giugno alle 18 alla Casa internazionale delle donne aRoma, con Luisa Morgantini e Chiara Ingrao

Abbiamo lavorato al libro Palestina Israele, parole di donne (Futura editrice) in fasi diverse: quella della raccolta delle interviste, tra il 2022 e il 2023, della loro trascrizione, e poi quella nei giorni terribili, dal 7 ottobre, condividendo il nostro dolore e angoscia con quelli delle donne intervistate e chiedendo loro commenti. Mentre eravamo sopraffatte dalla quotidiana terribile conta di morti, stragi, massacri. Oggi siamo ancora dentro quel sangue, quelle macerie di Gaza, quelle scene di distruzione di una popolazione per bombe per fame per malattie, quella furia genocida di Israele che niente potrà mai giustificare.
In Palestina e in Israele ci andiamo da molto tempo, per passione, impegno, “fedeltà” forse, a un luogo, ai suoi abitanti, alle loro storie. Oggi, in uno dei momenti più tragici della storia, vogliamo raccogliere e fissare volti, voci e storie di chi in quei territori vive e anche di chi là è andata partendo da qui. È l’esito di un lavoro di ricerca con interviste, e racconti, condotto con donne palestinesi, israeliane, italiane tra il 2022 e il 2024, qui ordinate per età, dalle più anziane alle più giovani.
Proprio in questi giorni terribili rivediamo immagini di quel Forum delle donne a Gaza, occasione davvero straordinaria, di incontro con oltre 200 donne palestinesi, per lo più giovani dove noi due eravamo la voce della Casa internazionale delle donne di Roma. Ad essa infatti il gruppo di ragazze italiane del Gaza Free Style, insieme a Meri Calvelli, direttrice del Centro Vik, centro di scambi culturali Italia-Palestina a Gaza, avevano chiesto di fare da “madrina” del progetto di una Casa internazionale delle donne a Gaza. Abbiamo saputo da qualche giorno che anche il terreno e l’edificio destinati ad essa sono stati bombardati. Chi è sopravvissuta ha perso casa, amici, familiari.
Le interviste sono nate dal nostro desiderio di capire e dare voce a donne, alcune amiche da anni, altre recenti, per far conoscere i cambiamenti, le novità, gli stati d’animo e le riflessioni di persone di età e collocazioni diverse, sia geografiche – Gerusalemme, territori occupati, Israele, Gaza – che sociali, nel corso di tanti anni: dalla prima Intifada (1987-1993) ad oggi. Abbiamo poi raccolto secondo una relazione “triangolare” che data dagli anni della prima Intifada, anche i racconti di alcune italiane, che hanno conosciuto e praticato la Palestina in tempi diversi.
Dopo la terribile mattina del 7 ottobre. 2023 e l’attacco a sorpresa condotto, oltre la recinzione tra Israele e Gaza, da gruppi armati di Hamas ed altri, con l’uccisione di 1.200 persone, tra queste centinaia di civili, e presi oltre 200 ostaggi (fonti israeliane); dopo la vendetta, il genocidio, ancora in corso, scatenato da Israele contro tutta la popolazione di Gaza, abbiamo chiesto alle nostre intervistate pensieri su questa nuova catastrofica fase. Alcune hanno aggiunto i loro commenti alle interviste fatte in precedenza. Altre hanno rilasciato le loro interviste o scritto racconti dopo il 7 ottobre, includendo i commenti su quei fatti.
Abbiamo anche pensato che fosse utile far precedere le voci di oggi da uno sguardo storico, che spieghi anche se per sommi capi, le origini lontane di questa vicenda, e da una riflessione sulle relazioni tra donne di luoghi lontani. Poi il mosaico di voci, di interrogativi e sguardi sul futuro. Lo dedichiamo a tutte/i coloro che hanno interesse o curiosità per la Palestina e per Israele, che sentono l’ingiustizia profonda che abita quei luoghi. Le tessere del mosaico sono voci di donne: un soggetto forte, lì come altrove, in grado di resistere, costruire, creare, in terre difficili. Queste donne parlano nel contesto di una pluridecennale occupazione israeliana, ormai conclamato apartheid, segnato da mancanza di diritti, opportunità e libertà di movimento, violenza. Insomma di tutto quanto fa della Palestina un caso globale di ingiustizia, da troppi anni ignorato dal mondo, dalla politica, dall’informazione.

Troverete voci di donne curiose e vivaci, ora entusiaste, ora amareggiate, sempre lucide anche nella analisi critica, sociale e politica. Nel corso degli anni la scelta di dichiarare una comunità di intenti con le Palestinesi è stata ferma e chiara: la differenza tra noi e loro, anche troppo ovvia, era una sfida a indagare e capire. Più impegnativo il sostegno alle israeliane che hanno scelto, oggi come allora, con difficoltà e tormento, di stare dalla parte del “nemico”, le palestinesi. Per alcuni anni, soprattutto negli anni della speranza, prima e all’inizio degli accordi di Oslo, è durata la relazione “triangolare”: palestinesi, israeliane, italiane. Nel corso del tempo le voci si sono affievolite, o inasprite, alcune si sono silenziate, si è allontanata la disponibilità all’ascolto reciproco.
Non è difficile capirne le ragioni. Che cosa vuol dire la parola “pace” nel mezzo di un continuo espandersi delle colonie, della violenza israeliana, del sempre più chiaro disegno di volersi prendere tutta la terra, della Palestina.
Il desiderio di libertà e liberazione, di giustizia, erano forse simili per tutte, attraverso i confini, ma è sempre più difficile riconoscersi in un mondo comune.
Dal 7 ottobre le distanze si sono approfondite: i confini sono sempre più difficili da attraversare, anche perché sono entrati nelle teste e nei cuori; lo scambio tra palestinesi e israeliane si è fatto sempre più arduo, quando non impossibile.
Le donne che in questo libro ci parlano di sé sono molto diverse tra loro, diverse per età, collocazione geografica e sociale. Tra le Palestinesi c’è chi, come Rima Tarazi, ripercorre le fasi storiche attraversate nella sua lunghissima vita di musicista attivista, dai tempi del mandato britannico fino ad oggi; chi parla del lavoro, dei sogni, di sofferenze e aspirazioni, in una associazione per i diritti e contro la violenza sulle donne, come Lamya Naamneh di Haifa; oppure in un ministero come Khitam Hamayel; in una piccola impresa di trasformazione del latte o nell’organizzazione di cooperative agricole, come Sawsan Saleh. Ci parla anche un gruppo di giovani di Gaza, We are not Numbers, che fanno video e fotografano il loro mondo, scrivono di sé e della loro terra. La giovanissima Ahed Tamimi esprime con fermezza il senso del suo infaticabile coraggioso attivismo contro l’occupazione e l’esercito israeliano, che le è costato mesi di prigione e un’altra giovanissima Siwan Awayes, che dirige un laboratorio di ceramica, vicino Sebastia, ci parla del suo sogno di diventare archeologa. Il loro essere palestinesi è ragione di sofferenza per un verso e di orgoglio identitario per l’altro. Tutte ci dicono che riconoscersi tra donne attraverso confini difficili è la conferma di un mondo comune, attraversato dal bisogno di giustizia. C’è anche chi saggiamente ci esorta a non fare di loro simboli astratti di “giuste lotte”, perché lo svanire di una prospettiva a lungo accarezzata, la disillusione, sono un rischio costante che qualcuna, come Zahira Kamal, ha già dolorosamente sperimentato.
Pensando alle origini dei nostri viaggi in Palestina e Israele, ci è sembrato coerente inserire in questa raccolta anche le voci di alcune donne ebree israeliane, energiche sostenitrici dei diritti palestinesi e della fine della colonizzazione. Hanno preso la parola per dire di sé, dell’impegno attivo per costruire un discorso di pace e giustizia contro disparità, disuguaglianze, e tutto ciò che definisce i “vicini” come nemici.
Sono donne che professionalmente difendono palestinesi nelle Corti di giustizia come l’avvocata Leah Tsemel, o come Neta Golan, una vita da attivista, o ancora Orna Akad, anch’essa come Neta, sposata a un palestinese e dedicata a praticare la convivenza nella vita privata e pubblica, o Moria Shlomot che a Tel Aviv organizza gruppi di genitori i cui figli dai 12 ai 18 anni sono prigionieri nelle carceri israeliane; parla anche una “educatrice” come Nurit Peled, che analizza e denuncia gli stereotipi diseducativi e aggressivi verso i palestinesi usati dall’educazione israeliana nelle scuole. E ci sono anche le giovanissime refusenik, come Sonia Orr, disposta ad andare in carcere pur di rifiutare di servire nell’esercito, fautore di una malintesa parità. «Non in nome del femminismo» è il suo grido contro armi e guerra.
È grazie alle loro voci che riusciamo a ritrovare, anche nel presente più che mai lacerato da violenze e distruzioni, tracce di una tensione, dentro Israele, anche se di pochi e poche, verso giustizia e pace.
Troverete infine racconti e pensieri di donne italiane, con esperienza di vita vissuta in terra palestinese, talvolta lunga, altre volte più breve, ma sempre intensa. Anche ad alcune di loro abbiamo chiesto racconti in prima persona, sulle scoperte in quella parte di mondo.
Elisabetta Donini, Raffaella Lamberti e Luisa Morgantini hanno raccontato i primi passi del «visitare luoghi difficili» tra Libano, Palestina, Israele; Meri Calvelli ha risposto alle nostre domande con una riflessione sui suoi 25 anni di vita e impegno a Gaza, tra allora e oggi; di Gaza, parlano anche il testo critico e appassionato di Patrizia Cecconi, le giovanissime come Cecilia Fiacco, che testimonia soprattutto la forza delle relazioni con le giovani palestinesi, scoperte da Cecilia nel Forum delle Donne a Gaza e incontrate anche negli anni precedenti, nelle carovane del collettivo Gaza Free Style.
Scegliere di essere straniere in territori “difficili” è un’impresa non facile, una sfida costante alla possibilità di fare narrazioni veritiere e rendere conto di difficili interazioni. Le italiane che hanno raccolto le interviste come quelle che hanno accettato di raccontare la loro scelta di “andare là”, sono o sono state impegnate in progetti condivisi con gruppi di donne, anche per poter raccontare e condividere l’esperienza delle “altre”. Questo ci sembra il cuore e la mente di una politica transnazionale che non si accontenta delle formule istituzionali, che “abbatte” governi ed eserciti perché in primo piano ci siano le persone, i corpi. Il nostro augurio è che questo, che chiamiamo approccio femminista, sia in grado di contribuire all’affermarsi di una strada di giustizia, senza la quale non si potrà mai costruire la pace.

L’appuntamento: il libro Palestina Israele, parole di donne sarà presentato il 13 giugno alla Casa internazionale delle donne a Roma alle 18, con le autrici intervengono Luisa Morgantini e Chiara Ingrao, modera Simona Maggiorelli, Left

 

Le autrici: Alessandra Mecozzi, attivista ed ex sindacalista, Gabriella Rossetti, già docente di antropologia all’università di Milano e Ferrara