In queste settimane, si definisce il senso della vittoria di Syriza nelle elezioni politiche del 25 gennaio scorso in Grecia: in gioco è, innanzitutto, democrazia sostanziale dopo una lunga fase di ibernazione, dovuta a cause culturali e politiche prima che economiche. Sul piano culturale, viene sfidato il pensiero unico di matrice liberista.
Per la prima volta da decenni, in Europa, un governo legittimato dal voto popolare esprime un paradigma autonomo dal neo-liberismo, versione hard (destre) o soft (sinistre delle “Terze Vie”), e propone una ricetta alternativa e realistica alla svalutazione del lavoro: ristrutturazione di un debito pubblico insostenibile; stop alla svendita di asset pubblici strategici; riavvio di investimenti produttivi, rigenerazione di servizi sociali e difesa di asset di cittadinanza democratica per la marea di famiglie, anche delle classi medie, cadute in povertà, regole meno squilibrate per i licenziamenti, redistribuzione del reddito a cominciare da un livello di dignità del salario minimo.
Per la prima volta da decenni, in Europa, un governo legittimato dal voto popolare svela, oltre al conflitto economico tra Stati, la natura di classe del conflitto tra creditori e debitori, dove l’aristocrazia della finanza e dell’economia internazionale e interna, assistita dalle tecnocrazie presunte super-partes, afferma i propri interessi, in modo miope e feroce, contro le classi medie e il popolo del lavoro subordinato, dipendente, precario o autonomo.
Per la prima volta da decenni, in Europa, l’alternativa possibile al neo-liberismo è popolare senza essere populista e assume caratteri progressivi e non i segni nazionalisti e xenofobi.
Per arrivare a una risposta utile, i governi europei devono riconoscere i dati di realtà.
Primo, i programmi della Troika hanno avuto come obiettivo prioritario il salvataggio dei creditori della Grecia, non l’aggiustamento dell’economia greca: il 95% del bailout è stato assorbito dalle banche, in larga misura tedesche e francesi, disinvolte prestatrici di finanziamenti all’export dei campioni dell’eurozona.
Secondo: i programmi della Troika sono viziati da una esiziale contraddizione: la svalutazione interna per il surplus della bilancia commerciale mediante austerità e taglio dei redditi da lavoro raggiunge l’obiettivo ma al costo di brutali contrazioni del prodotto interno e dell’impennata, fino al default, del debito pubblico.
In sintesi, la Grecia dimostra in forma acuta l’insostenibilità della rotta mercantilista dell’eurozona. Indica, caso estremo data la gravità della malattia pregressa e le dosi abnormi di medicine nocive prescritte e ingoiate in sospensione di democrazia, problemi sistemici: l’altra faccia delle ripetute violazioni da parte della “virtuosa” Germania del limite ai surplus commerciali eccessivi fissato nel “six pack” (6% del Pil); l’altra faccia del mancato obiettivo statutario di inflazione (sotto ma vicino al 2%) da parte della “impeccabile” Bce.
Le principali soluzioni prospettate dal Governo Tsipras per portare la Grecia fuori dal tunnel hanno valore sistemico: una conferenza europea per ristrutturare debiti pubblici e privati, in un quadro di responsabilità condivisa tra debitori e creditori, e un “New deal europeo” per riavviare la domanda aggregata sono condizioni necessarie per la ripresa.
È ora di un compromesso di svolta democratica ed economica nell’eurozona. Soffocare la Grecia implica avvicinare il naufragio della moneta unica. I forti devono imparare alla svelta la differenza tra comando e egemonia.
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