«La piazza è importante. Per tutti noi essere qui è fondamentale. Significa tornare a casa sapendo che comunque qualcosa esiste a sinistra, che qualcuno ci prova. Che non ci arrendiamo, anzi, che non ci arrenziamo, come ho letto in un cartello». L’uomo alto con la barba e gli occhi chiari non è un operaio e non è un disoccupato. Appartiene al ceto medio, adesso è in pensione, una buona pensione, ma non rinuncia all’idea di una sinistra per cui ha vissuto tutta la vita. Una sinistra che difenda i diritti dei più deboli, che si regga sulle due gambe dell’uguaglianza e della libertà contro il dominio del mercato e della politica succube a chi quel mercato comanda. Questa immagine dell’uomo che è contento per “il segnale” dato da Landini è significativa di quel che è accaduto ieri a Roma.
Serietà, impegno, attesa. Queste le parole che sembrano distinguere quel popolo attraversato dalle bandiere rosse della Fiom. Un popolo di uomini, perlopiù, adulti, ma anche di molti giovani, operai e studenti, senza quella folla abituale di pensionati che ha caratterizzato in passato molte manifestazioni della Cgil.
Il giorno dopo, è come se Piazza del Popolo rappresentasse un segnale, appunto. Non solo all’esterno – il Pd e la sua sinistra statica, Sel e gli altri gruppi, la Confindustria, il governo Renzi (definito peggio di quello di Berlusconi) – ma all’interno, ovvero a quel mondo del lavoro sempre più disgregato tra chi i diritti ce li ha ancora e chi invece, i nuovi assunti dopo il Jobs act, no. Il richiamo a come sono nate le Unions nell’Inghilterra di fine Ottocento, a Di Vittorio e all’eroico tentativo di difendere i diritti di tutti i cittadini, anzi, i diritti “sul luogo di lavoro e fuori del luogo di lavoro”, sono un messaggio agli iscritti della Fiom, della Cgil, e a tutti i lavoratori.
Ma quello di Landini non si è limitato ad essere un discorso di testimonianza, bensì una proposta di lotta politica: riscrittura dello Statuto dei lavoratori, abbassamento età pensionabile, riduzione dell’orario di lavoro, referendum sul Jobs act. Lotta politica, dunque. Anche se molti di quelli che sono venuti in piazza del Popolo per “vedere Landini” avrebbero preferito uno sguardo più largo sul mondo delle partite Iva, dei lavori al nero, dei dipendenti di serie B, esternalizzati, interinali, disoccupati. Ma forse è solo l’inizio.
Se si parla di coalizione sociale, per forza di cose si dovrà prendere in considerazione quella fetta di milioni di persone, quella “terza società” su cui perfino Luca Ricolfi del Sole24ore pone l’accento. Quella “maggioranza invisibile” di cui parla Left questa settimana. Se Landini e i suoi si dimenticano di quell’universo nascosto e se si dimenticano di innovazione e politiche del lavoro che superino il manifatturiero, le prospettive di incidere si ridurranno moltissimo. C’è troppa delusione in quel mondo di invisibili. Al tempo stesso la coalizione sociale dovrebbe fare della scuola e del sapere un cavallo di battaglia. Non è un caso che quando Stefano Rodotà ha accennato alla scuola abbia ricevuto il più grande applauso. Il sapere è un tema “sensibile” come il lavoro.
Lotta politica e azione collettiva. Maurizio Landini ha salutato Piazza del Popolo con dei versi di Neruda: “Quest’anno nuovo è nato più da te che dal tempo, prendi il meglio e consegnalo alla lotta”. Splendide parole che non si sentivano da tempo.
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