Quando uno elettore di sinistra, spaesato per definizione, intervista Sergio Cofferati, amore naufragato, europarlamentare dal 2009, ci sono alcune domande obbligate. Alcune vanno fatte anche prima di parlare di Maurizio Landini e della “Coalizione sociale”.

«Piero Fassino, segretario dei Ds, mi chiese la disponibilità di candidarmi alle Europee. Era il 2004 e si votava anche per le amministrative. A quel punto io gli dissi che preferivo Bologna». Quando uno elettore di sinistra, spaesato per definizione, intervista Sergio Cofferati, amore naufragato, europarlamentare dal 2009, ci sono alcune domande obbligate. Alcune vanno fatte anche prima di parlare di Maurizio Landini e della “Coalizione sociale”, di ricostruire lo scontro (di Landini ma anche di Cofferati) con Susanna Camusso e di chiedere se altri, dopo di lui, dovrebbero lasciare il Pd renziano.

E così cominciamo da lì. Dal perché, lui che doveva guidarci tutti, è finito a fare il sindaco, neanche troppo amato, della città di Bologna. «Mi proposero quello che sembrava un esilio» è la versione ufficiale, «e io gli dissi che mi sembrava più giusto riconquistare una città simbolica, finita in mano alla destra. Mi dissero subito che era una buona idea».

«Si toglie di torno comunque», avranno pensato…

Ride. In effetti penso che sia stato quello il retropensiero. Ma guardi: il fatto che per me ci potesse esser un ruolo nazionale era vero solo prima del congresso dei Ds, a Pesaro, e comunque sarebbe sempre passato per una rottura del partito.

Lei avrebbe potuto sfidare Fassino al posto di Giovanni Berlinguer, candidato del Correntone.

Ma era appena arrivato il secondo governo Berlusconi, e ritenemmo che si sarebbe aperta, come effettivamente è stato, una stagione molto dura per il sindacato. Rimasi in Cgil, e poi ci fu il Circo Massimo.

Sa perché le chiedo di fare questa ricostruzione? Perché lei ha commentato il bacio immortalato tra Landini e Camusso, alla fine della manifestazione della Fiom del 28 marzo. Lei ha detto: «Un brutto bacio, lei si è ritratta». Camusso le ha replicato: «Dovremmo discutere di chi aveva costruito un progetto analogo a quello di Landini e poi un giorno ci disse “ciao ciao vado a fare il sindaco”».

Dice una bugia, Susanna, e spero solo che non ricordi bene. Io lasciai il sindacato alla scadenza naturale del mandato, nel settembre del 2002. Due anni dopo mi candidai a Bologna. Sono comunque contento, però: perché dalla replica della Camusso capisco non solo che lei condivide il progetto di Landini, ma che condivideva anche il mio. In nessuno dei due casi me ne ero accorto…

Non le chiederò di fare paragoni tra la piazza del 28 e il suo Circo Massimo. Mi dice invece cosa pensa di chi era con lei, su quel palco, in difesa dell’articolo 18, e oggi ha votato per l’abolizione, con il Jobs act?

Penso che c’è sempre, per ognuno di noi, il problema della coerenza. E c’è soprattuto per chi stava su quel palco. Cambiare opinione va sempre bene, ma devono esserci delle ragioni. E il guaio è che non mi pare ci siano nel caso dell’articolo 18, così come per tutte le altre riduzione di diritti e tutele che si sono votate in questi anni. Quanto è stato sostenuto con la propaganda, sui posti di lavoro creati, è stato smentito dai disastrosi dati dell’Istat sulla disoccupazione.

Lei non è mai stato in parlamento, a Roma. Molti dei suoi colleghi hanno votato per «fedeltà alla ditta » o perché forzati dai voti di fiducia. Lei avrebbe fatto diversamente?

Sì, non le avrei votate. Non c’è voto di fiducia che possa tenere rispetto ai diritti di chi lavora.

Le si potrebbe dire che da fuori è facile.

 Ma guardi che anche a Bruxelles sono tra i più disobbedienti. Ho votato contro Junker e contro la sua Commissione, ad esempio, e non me ne sono pentito. Infatti dei 350 miliardi non si parla più e invece, proprio mentre esplode la polemica sull’evasione delle grandi aziende, noi abbiamo ai vertici dell’Unione l’ex premier del Lussemburgo, un paradiso fiscale.

Però il Pd lei l’ha lasciato solo dopo la sconfitta alle primarie in Liguria, e non perché saturo politicamente.

Le primarie inquinate dalla destra sono state il detonatore. Non ho mai nascosto di essere in sofferenza.

A giudicare anche dall’ultima direzione del Pd, che ha blindato l’Italicum, sembra che il dissenso interno non porti a grossi risultati. Vince sempre Renzi, con la sua «democrazia decidente». Pensa che facciano bene, i suoi ex colleghi, a restare?

Per carità del cielo, decidano loro! Io ho ritenuto fosse più utile tentare un’altra strada.

A proposti dell’altra strada. La piazza della Fiom. Il vostro strappo in Liguria, dove si candida Luca Pastorino, civatiano. Le pare si muova qualcosa di più solido del solito, a sinistra?

Difficile dirlo. Ci sono segni importanti di novità, a partire dalla Liguria, ma per ora è quasi sempre una reazione al fatto che il centrosinistra non esiste più, agli strappi del Pd.

È giusto non fare subito un partito, non convocare chessò una costituente? I citatissimi Podemos e Syriza hanno fatto le due cose insieme…

È giusto, sì. Bisogna prima definire cosa vuol dire esser di sinistra, prima di pensare a un contenitore. Perché se Renzi può dire “non vi lascio l’uso della parola sinistra” vuol dire che qualcosa non funziona…

Non è di sinistra Renzi?

Sicuramente non fa cose di sinistra. Anche perché completa l’opera di Mario Monti, che ha guidato il peggior governo di questi anni. È con il sostegno a quel governo che inizia a cambiare la storia del Pd.

d di cui lei era autorevole esponente…

Veramente ero solo come un cane. Purtroppo, la  scelta di non contrastare adeguatamente quel governo è stata pagata anche dal sindacato.

Pensa che possa avere un ruolo nella ricostruzione della sinistra chi – ad esempio – ha votato la riforma delle pensioni di Elsa Fornero?

 L’appoggio che il Pd ha dato al governo Monti pesa molto. La sinistra ha creduto in quella fase all’austerità: uno può dire il contrario, adesso, ma che questo incida sulla sua credibiltà, è evidente.

Lei pensa che Landini proverà a guidare la Cgil, senza scendere in politica?

Lui ha detto così e bisogna dargli credito.

Per lei sarebbe una buona notizia?

La Cgil ha i suoi tempi e decideranno i congressi. Ma che Landini rimanga nel sindacato con funzioni sempre più importanti lo considero positivo. Perché non si ricostruisce la sinistra se non si rinforza e cambia il sindacato. E Landini ha idee innovative.

[social_link type=”twitter” url=”https://twitter.com/lucasappino” target=”on” ][/social_link] @lucasappino

Sono nato a Roma, il 23 febbraio 1988. Vorrei vivere in Umbria, ma temo dovrò attendere la pensione. Nell'attesa mi sposto in bicicletta e indosso prevalentemente cravatte cucite da me. Per lavoro scrivo, soprattutto di politica (all'inizio inizio per il Riformista e gli Altri, poi per Pubblico, infine per l'Espresso e per Left) e quando capita di cultura. Ho anche fatto un po' di radio e di televisione. Per Castelvecchi ho scritto un libro, con il collega Matteo Marchetti, su Enrico Letta, lo zio Gianni e le larghe intese (anzi, "Le potenti intese", come avevamo azzardato nel titolo): per questo lavoro non siamo mai stati pagati, nonostante il contratto dicesse il contrario.