L’ultimo vaso di Pandora del calcio italiano l’ha scoperchiato la Procura della Repubblica di Catanzaro, attraverso un’indagine (e un’ordinanza di mille e cento pagine) che ha portato a 50 arresti e 70 persone indagate fra calciatori, allenatori, dirigenti, scommettitori e persino magazzinieri di trentatré società. Ventotto le partite nel mirino dell’operazione denominata “Dirty Soccer”, quasi tutte di Lega Pro e Dilettanti, mentre la serie B viene solo sfiorata.

Capita che un’intera generazione, quella degli anni 70, rimpianga il calcio di una trentina d’anni fa, quello dell’era pre-berlusconiana, ancora un po’ romantico, non ancora contaminato dall’inflazione di immagini televisive e dalle puntate sulle partite. Ma c’è un filo conduttore che lega il pallone dell’epoca a quello attuale: gli scandali-scommesse. Dal primo del 1980, quello delle manette negli stadi, a quello dell’86, passando per Calciopoli nel 2006 fino ad arrivare a Scommessopoli di quattro anni fa. Corruzione dormiente, a intermittenza, difficile da controllare e monitorare e sempre pronta a colpire.

Penalizzazioni, retrocessioni, squalifiche, campioni e comparse finite ai domiciliari e in carcere. Tutto finito? Macché. Ieri l’ultimo capitolo, stavolta nel sommerso della Lega Pro e della Lega Nazionale Dilettanti. È la Gomorra del pallone, che muove denaro sporco nei campi di provincia. La Lega Pro è la vecchia serie C: calciatori professionisti a tutti gli effetti, ma con stipendi non certo da favola e non di rado alle dipendenze di società poco solide. I Dilettanti, di cui la D è la serie di punta, lo sono solo di nome, perché di soldi ne girano un bel po’ anche lì, ma non si naviga certo nell’oro. Terreno fertilissimo per la malavita organizzata e per faccendieri senza scrupoli, che attrae anche l’attenzione dei “signori delle scommesse”, residenti all’estero e particolarmente presenti nell’Europa orientale, veri e propri professionisti delle puntate truccate.

L’ultimo vaso di Pandora del calcio italiano l’ha scoperchiato la Procura della Repubblica di Catanzaro, attraverso un’indagine (e un’ordinanza di mille e cento pagine) che ha portato a 50 arresti e 70 persone indagate fra calciatori, allenatori, dirigenti, scommettitori e persino magazzinieri di trentatré società. Ventotto le partite nel mirino dell’operazione denominata “Dirty Soccer”, quasi tutte di Lega Pro e Dilettanti, mentre la serie B viene solo sfiorata.

L’indagine è partita dall’intercettazione di un telefonata di Pietro Iannazzo, nipote del boss della ‘ndrangheta di Lamezia Vincenzino, in cui parlava dei suoi interessi nel Neapolis, squadra di Mugnano, cittadina alle porte di Napoli. Seguendo Iannazzo, gli inquirenti sono arrivati a scoprire l’ultima cupola del calcio italiano, che truccava partite su cui piovevano puntate per milioni di euro. Una rete che si estende anche all’estero: da Russia, Serbia, Slovenia e Kazakhstan proviene una parte dei finanziatori, mentre in centri scommesse di Malta e Singapore venivano effettuate le giocate.

Il sistema prevedeva la corruzione dei calciatori, a cui venivano offerte somme di denaro per fare in modo che contribuissero a indirizzare le partite secondo i desideri dell’organizzazione, o l’acquisto di informazioni su incontri ritenuti sicuri perché per motivi sportivi i club coinvolti si erano già messi d’accordo sul risultato. I prezzi? Da 40.000 euro per convincere i calciatori fino a 150.000 per avere da un dirigente la soffiata giusta su una partita dal risultato concordato. A corollario minacce nei confronti di giocatori coinvolti in gare il cui risultato non era andato secondo le attese e persino il sequestro di un fratello di uno degli intermediari dell’organizzazione, a causa di una combine saltata.

Rivedendo le immagini televisive di alcune delle partite oggetto d’indagine, i sospetti vengono ulteriormente rafforzati: portieri che incassano gol da dopolavoro o provocano rigori con interventi del tutto privi di logica, attaccanti che sbagliano reti a porta vuota, espulsioni frutto di scorrettezze insensate con lo scopo occulto di penalizzare la propria squadra. Il tasso tecnico c’entra poco, il grosso l’ha fatto il dolo. Che sia finito nei guai proprio il calcio minore non dovrebbe stupire: società povere, senza sponsor, con pochi spiccioli di diritti televisivi e stadi semideserti. Chi gioca nelle “minors” spesso ha stipendi da operaio, e i soldi magari si vedono dopo mesi di ritardo: la tentazione di far quadrare il bilancio di casa in modo illecito può essere forte. Lontani dalla ribalta della serie A si potrebbe anche pensare di farla franca. Da ieri non più.