Lazy southern: i fannulloni del Sud. Sfaticati, indebitati, arretrati. Ellenici pigri che non hanno voglia di lavorare, che hanno vissuto “al di sopra delle loro possibilità”. Baby-pensionati che vogliono scaricare su di noi il peso dei loro privilegi. I greci, in fondo, se la sono cercata la crisi che stanno pagando. In linea di massima è così che il resto d’Europa liquida la questione, o almeno lo fa quella parte d’Europa che non si trova in quelle condizioni. Ma la Grecia, in realtà, è il Paese dell’Unione dove si lavora di più: nel 2013 (austerity in corso) si sono registrate 2.037 ore per dipendente (poco più delle 2.034 dell’anno precedente): 267 ore in più della media europea (1.770), 649 più della Germania. E la Grecia è anche il Paese dove si guadagna di meno: lo stipendio medio è di appena 18.495 euro l’anno (in ulteriore calo dai 19.766 euro del 2012), mentre la media tedesca sfiora i 36.000 euro.
Non solo, la ricerca Ocse – riporta il Sole 24 ore – evidenzia cosa non quadra: la forbice tra quantità e qualità si scava in un’organizzazione “irrazionale” del lavoro. La Grecia adotta misure minime, o inconsistenti, per qualsiasi forma di part time e work-life balance, l’elasticità vita-lavoro che fa impennare la produttività a Nord delle Alpi. Con il risultato che un’ora di lavoro, nel 2012, oscillava poco sopra un valore di 34 dollari Usa: 20 in meno rispetto ai 59,5 di Francia e Danimarca.
La questione greca (e perché no italiana e del Sud Europa), sembra la versione europea della vecchia questione meridionale, quella che Antonio Gramsci affrescò così un secolo fa: «La borghesia settentrionale ha soggiogato l’Italia meridionale e le isole e le ha ridotte a colonie di sfruttamento», scriveva Gramsci in Alcuni temi della quistione meridionale. Che sia Napoli o Atene, il risultato non cambia.
[social_link type=”twitter” url=”http://twitter.com/tizianabarilla” target=”on” ][/social_link] @tizianabarilla