Non è renziano ma nemmeno antirenziano. Chi è Enrico Rossi? Ora che il governatore toscano si dichiara «disponibile» a candidarsi alle primarie 2017 per la segreteria del Pd – l’ha detto alla festa de l’Unità di Firenze, luogo “sacro” per uno nato nel Pci – vi raccontiamo il personaggio.
Sindaco, assessore, governatore
È uno che non passa inosservato nell’agone politico italiano. Ha una sua identità, una formazione politica e culturale di tutto rispetto. Viene da Bientina, un paese vicino a Pontedera di cui diventa sindaco nel 1990, a 32 anni. Là, nella piana industriale nel cuore della Toscana, ancora lo ricordano perché si oppose a De Mita e al suo tentativo di delocalizzare la Piaggio in quel di Nusco – e chissà cosa avrà pensato quando lo stesso De Mita ha sponsorizzato De Luca alle ultime regionali… Comunque, il nostro giovane amministratore, laureato in Filosofia a Pisa con una tesi su Agnes Heller, dal 2000 al 2009 diventa assessore regionale alla Sanità e porta la Toscana ai vertici nazionali della sanità pubblica, come ha decretato anche di recente una classifica del Sole 24 ore. Nel 2009 è eletto governatore, carica che riconquista il 31 maggio, senza ricorrere alle primarie, ma su “investitura” dello stesso Renzi, segretario democratico e presidente del Consiglio.
Quando bacchettava Renzi
Però solo un paio di anni fa non si contavano le scaramucce tra Enrico Rossi presidente della Regione e Matteo Renzi sindaco di Firenze. Per esempio, sulla filosofia dell’uomo solo al comando e l’idea di partito democratico propugnata dall’allora candidato alla segreteria. Rossi ha sempre guardato al Pd come a un soggetto collettivo, un po’ lo stesso concetto ribadito più volte anche da Bersani, prima che finisse nel limbo.
Fedelissimo al governo
Enrico Rossi è l’uomo e l’amministratore che difende i diritti civili, che si fa fotografare con i vicini Rom e a tipi come Salvini non le manda certo a dire – specialmente quando il leghista è sbarcato in Toscana per la campagna elettorale. È quello che vuole gli Stati Uniti d’Europa e la cittadinanza per i bambini stranieri nati in Italia. Rossi è stato tra i primi ad appoggiare l’uso della Ru486, si è battuto per la gratuità del farmaco costosissimo contro l’epatite C. Ma è lo stesso amministratore che quest’anno ha sdoganato tagli alla Sanità per 250 milioni di euro, assecondando senza fiatare le forbici della legge di stabilità. È il sostenitore del Jobs act, anche se scrive che «bisogna mettere al centro il lavoro». Critica l’abolizione della tassa sulla prima casa, ultimo cavallo di battaglia di Renzi, e sostiene la “ridistribuzione della ricchezza». Approva a spada tratta le riforme istituzionali e il Toscanellum, dicono chi lo critica a sinistra, è un patto del Nazareno in versione toscana.
Enrico Rossi e la sinistra Pd
A proposito di sinistra il governatore lo ha detto chiaramente. La minoranza dem «ha posizioni troppo ferme e animate da spirito di rivincita». Lui preferisce una posizione più soft ma comunque netta, sia nei confronti del “divo” Massimo che del “rottamatore” Matteo. Scrive infatti il 30 agosto sul suo blog: «Quanto allo “spianare il passato per sembrare grandi”, secondo l’accusa di D’Alema alla nuova classe dirigente del Pd, è facile replicare che a cominciare con lo spianare la storia della sinistra è stata proprio quella classe dirigente a cui lui appartiene e che coloro che lui accusa stanno semmai completando l’opera da loro iniziata». Come fare allora a salvare la sinistra? Rifacendosi a Machiavelli, Enrico Rossi scrive che la sinistra oggi per rinnovarsi ha bisogno di «essere “ritirata” verso i suoi principi ispirandosi al pensiero e all’azione degli uomini che l’hanno resa grande». I nomi? Gramsci e Berlinguer, ma anche Giorgio La Pira e Alexander Langer.
[social_link type=”twitter” url=”https://twitter.com/dona_Coccoli” target=”on” ][/social_link]@dona_Coccoli