«Non siamo soli nell’Universo, tuttavia penso che siamo destinati alla solitudine». Chiara e diretta come solo lei sapeva essere, Margherita Hack è spesso intervenuta sulla possibilità che esistano forme di vita alternative a quelle che popolano la Terra. «Credo del tutto probabile che ci siano altri mondi abitati – scriveva in C’è qualcuno là fuori? (Sperling & Kupfer), il suo ultimo libro pubblicato postumo nel 2013 -, credo anche che non avremo mai modo di incontrare un extraterrestre. Le distanze non ce lo permettono. Questo non vuol dire che dobbiamo rinunciare a cercare». E infatti l’uomo continua a cercare. Ma più che con la speranza (o il timore) di fare “incontri ravvicinati del terzo tipo”, insegue l’idea, apparentemente più concreta, che tracce di microrganismi e batteri possano spuntar fuori prima o poi da corpi celesti o pianeti relativamente vicini al nostro. In che modo? “Follow the water”: è la strategia principale adottata dalle grandi agenzie spaziali. Troviamo l’acqua e troveremo la vita.
Si parla di questo all’incontro dal titolo “Vita extraterrestre: dove, come, quando” a BergamoScienza 2015 (domenica 18 ottobre ore 9.30) al quale partecipano tra gli altri, Federico Tosi, planetologo dell’Istituto nazionale di astrofisica (Inaf) e Barry Goldstein, ingegnere della Nasa, impegnati in due diverse missioni che hanno come obiettivo comune l’esplorazione del sistema di Giove: JUpiter ICy moons Explorer (Juice), la prima missione spaziale di questo tipo a guida europea (Esa), ed EuropaClipper dell’agenzia spaziale Usa. Left ha chiesto ai due esperti come si spiega questo improvvisa attenzione per il più grande pianeta del Sistema Solare.
Sotto le superfici di Europa e Ganimede si nascondono importanti strati di acqua mantenuta allo stato liquido su tempi geologici
«Fino a circa 20 anni fa – racconta Tosi – si credeva che l’unico luogo interessante per la ricerca di forme di vita elementari al di là della Terra nel nostro Sistema Solare fosse Marte, che oggi appare sterile ma che nel lontano passato ospitava importanti distese d’acqua liquida. I risultati ottenuti da missioni spaziali come Galileo e Cassini-Huygens hanno rivoluzionato questa visione, scoprendo che acqua liquida esiste tuttora, in forma stabile, nell’interno profondo di alcune lune ghiacciate». Con le missioni EuropaClipper e Juice, oggi in fase di implementazione, Nasa ed Esa hanno avviato la “fase 2” di questa campagna di esplorazione. «Lo scopo – prosegue Tosi – è capire se condizioni potenzialmente adatte allo sviluppo della vita possano esistere, o essere esistite, anche in questi mondi “minori”, freddi e remoti, che fino a pochi anni fa erano reputati essenzialmente morti e inadatti alla vita. Per esempio su Encelado, una piccola luna ghiacciata di Saturno, sono stati osservati imponenti eruzioni di acqua mescolata a diversi altri composti, che rendono questo corpo di interesse primario per l’astrobiologia, la scienza che si occupa dei processi che portano all’origine, all’evoluzione, al trasferimento e alla distribuzione della vita al di fuori della Terra». Situazioni analoghe potrebbero esistere, in linea di principio, a distanze ancora maggiori dal Sole nella nostra Galassia e altrove, nell’Universo. Secondo il planetologo dell’Inaf, «in una visione ancor più ampia, l’esistenza di lune ghiacciate con strati interni di acqua liquida, in orbita attorno a pianeti giganti gassosi, potrebbe rivelarsi una prerogativa di molti tra i pianeti extrasolari finora scoperti». Per questo Juice, il cui lancio è previsto nel 2022, all’arrivo stimato nel 2030 inizierà a esplorare Giove con un’enfasi particolare su tre sue lune ghiacciate: Ganimede, Europa e Callisto.
L’esistenza di lune ghiacciate con strati interni di acqua liquida potrebbe rivelarsi una prerogativa di molti tra i pianeti extrasolari finora scoperti
Anche il “volo” della Nasa dovrebbe partire nel 2022 ma la missione Usa si concentrerà solo su Europa. «Gli obiettivi di EuropaClipper – spiega Goldstein – sono svariati. Vanno dallo studio dettagliato della sua geologia tramite una telecamera ad altissima risoluzione, alla ricerca di un sito adatto all’atterraggio di future missioni per un’esplorazione “diretta” del suolo come sta avvenendo con i rover su Marte. Più in generale, c’è la speranza di poter studiare le caratteristiche ambientali di Europa per determinarne con precisione l’abitabilità. Cioè il potenziale presente o passato a sostenere forme di vita di qualunque tipo».
«Europa, così come Ganimede – aggiunge Tosi – è di interesse centrale. Sotto le loro superfici si nascondono importanti strati di acqua mantenuta allo stato liquido su tempi geologici. Quest’acqua potrebbe essere ragionevolmente mescolata ad elementi chimici detti “biogenici” (carbonio, azoto, ossigeno, idrogeno, fosforo, zolfo…), perché necessari per innescare reazioni biochimiche. Ingredienti essenziali come acqua liquida e elementi biogenici, mescolati assieme e resi stabili per lunghissimi periodi di tempo, rendono Europa e Ganimede mondi potenzialmente “abitabili”, cioè potenzialmente idonei allo sviluppo di forme di vita elementari». Quando si parla di vita extraterrestre in molti pensiamo quasi inevitabilmente a esseri intelligenti che attraversano lo spazio a bordo di sofisticate astronavi. «Sappiamo bene che questa popolare propensione deriva anche e soprattutto da svariate decadi di letteratura fantascientifica – osserva Tosi -. Nel caso reale, e in particolare con Juice, ci proponiamo semplicemente di appurare se su satelliti freddi e ghiacciati, lontani dal Sole e quindi dalla classica regione di spazio che attorno a una stella è definita “abitabile”, possano esistere condizioni potenzialmente interessanti per lo sviluppo di forme di vita elementari. In definitiva, non parliamo di alieni e dischi volanti ma di microorganismi, cosiddetti “estremofili” perché obbligati ad esistere e proliferare in totale assenza di luce solare e condizioni ambientali decisamente proibitive».
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