Thomas Piketty ha contribuito a tornare a far parlare il mondo di diseguaglianze e in queste settimane, a ridosso del vertice di Parigi, pubblica assieme a un suo collega Lucas Chacel un breve paper sulle diseguaglianze planetarie guardate dal punto di vista delle emissioni di CO2 (qui lo trovate sia in inglese che in francese), un bell’esercizio che si conclude con una proposta: istituire una tassa sui voli di business per scoraggiare i comportamenti inutili (viaggiare un po’ meno) e con i soldi ricavati finanziare la lotta al riscaldamento climatico.
Il ragionamento dei due economisti francesi parte da una constatazione semplice: l’industria del trasporto aereo è uno dei grandi inquinatori dell’atmosfera terrestre. Non parliamo delle scie chimiche che ossessionano alcuni gruppi di complottisti grillini sui social network, ma di emissioni di CO2. Se fosse un Paese, l’industria aerea sarebbe il settimo inquinatore del pianeta, sopra la Corea del Nord e sotto la Germania. Anche per questo i costruttori di aerei (Boeing, Rolls-Royce ed Airbus), in vista della conferenza mondiale sul clima di Parigi, promettono di tagliare i livelli di inquinamento dei loro aerei della metà entro il 2050. aeree hanno promesso Disincentivare o far pagare, come ai Paesi grandi inquinatori, queste emissioni ha senso, dicono i due economisti. Che partono da un assunto: il modo in cui calcoliamo le emissioni oggi – partendo dalla geografia, ovvero da quanto inquina ciascun Paese – è in parte fuorviante. Non solo le emissioni pro-capite divergono molto (un americano inquina in media 3 volte la media mondiale, un europeo una volta e mezza, un africano meno della metà), ma succede anche che alcune produzioni che avvengono in un Paese siano in realtà generate, commissionate, pensate e finanziate da un altro (le fabbriche asiatiche producono per noi e al posto nostro, almeno in parte).
Le emissioni per scaglioni di reddito: il 10% più ricco, la middle class e il 50% più povero in ciascuna regione del pianeta per emissioni di CO2.
Perché non partire dai redditi di chi emette per finanziare la lotta al riscaldamento globale e l’adattamento dei nostri sistemi al cambiamento climatico? In questo modo coloro che già forniscono i fondi (figura 1a qui sotto: Europa e Usa, poi Giappone, Australia e Nuova Zelanda) continueranno a farlo e, individuando strumenti appropriati, cominceranno a farlo anche quei ceti medio alti e i ricchi dei Paesi emergenti che sono quelli che più stanno beneficiando della globalizzazione e il cui inquinamento pro-capite è più aumentato negli ultimi decenni.L’idea è allora quella di istituire una tassa da 196 dollari per i biglietti aerei di business class, e una tassa di 21 su quelli della classe economica che potrebbe generare 160miliardi l’anno da spendere in fondi globali per la lotta ai ai cambiamenti climatici. A pagare sarebbero quei ricchi che in media emettono molto più degli altri: l’1% americano, lussemburghese o arabo saudita emette in media 25 volte di più di un cittadino medio mondiale.
«Tassare voli è un modo per indirizzare gli stili di vita ad emissioni elevate, soprattutto se decidiao di tassare la business class più della classe economica», ha detto Chancel in un’intervista a Climate Home. «Una tassa sui biglietti aerei per finanziare programmi di sviluppo esiste già in alcuni paesi. Ciò di cui abbiamo bisogno è di aumentare il suo livello e generalizzarla».
Gli economisti elaborano tre scenari con livelli diversi di tassazione progressiva in base al reddito (e alle conseguenti emissioni), che vedete qui sotto. Non è una cattiva idea.
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