A giudicare dalle attività militari, l’Italia non ripudia affatto la guerra. Anzi. Dall’Afghanistan alla missione EuNavForMed (la guerra ai barconi che da mesi è al centro dei vertici Ue sull’immigrazione), dai Balcani al Mali, dall’Iraq all’Oceano indiano, dal Libano alla Georgia. Sono 26 le missioni internazionali in cui il nostro Paese è impegnato e 4.500 i militari sparsi in 38 Paesi. Le maggiori concentrazioni si trovano tra Afghanistan, Libano e Balcani, ma ci sono anche le truppe di addestramento in Palestina e in Somalia. Contemporaneamente poi, l’Italia arma ben 123 Paesi ed è leader nell’export di armi piccole e leggere.
Difesa e sicurezza, a colpi di decreti
L’Italia non ha una legge che regoli le sue missioni internazionali. Il vuoto legislativo comporta il ricorso a provvedimenti d’urgenza: così, davanti ai decreti legge del governo, il Parlamento perde il controllo sulle decisioni che riguardano i nostri interventi internazionali. Così è avvenuto con l’approvazione di mozioni nel 1987 nel Golfo Persico e durante il conflitto Iran-Iraq; nel 1991 in Kuwait dopo l’invasione irachena o, ancora nel Golfo Persico, nel 1990-91. Soprattutto recentemente, la tendenza è quella di affidarsi a decreti legge. con il pretesto dell’urgenza. Per finanziare e ri-finanziare le missioni del 2015 abbiamo speso 1 miliardo e 200 milioni, più dell’anno scorso (953 milioni di euro). Questo miliardo e passa include gli 850 milioni del fondo per le missioni, che hanno coperto il periodo gennaio-settembre. Solo che, in nove mesi, i nostri “missionari” hanno dato fondo alle casse. Ecco allora pronto il decreto legge del 12 ottobre per prorogare la copertura economica fino al 31 dicembre. Un’“aggiuntina” di 350 milioni di euro: 117 milioni al mese, più di 158mila euro l’ora che graveranno sul ministero dell’Economia e non su quello della Difesa. Perché? Perché se il fondo per le missioni è finito tocca interessare altri capitoli di bilancio.
Il vuoto legislativo, com’è evidente, crea pesanti conseguenze. Alla Camera dei deputati qualche mese fa è stata approvata una legge per regolare le missioni internazionali, ma adesso è ferma in attesa di passare dall’aula al Senato. «Questa legge consentirebbe al Parlamento di intervenire sia sulla natura delle missioni alle quali l’Italia partecipa e sia sulla durata e sul loro finanziamento», dice Donatella Duranti, deputata del gruppo Sinistra italiana-Sel. È solo questione di tempo, è sicura Duranti. E pensare che sin dal 1990 la questione “missioni” non è più coperta dal segreto di Stato, dall’approvazione della legge n.185 sul controllo delle esportazioni di armamenti voluta da Giulio Andreotti per imporre a governo e Parlamento di relazionare annualmente sul tema. Venticinque anni dopo, quelle relazioni ci sono ma – è il mantra degli esperti – continuano a non essere trasparenti.
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