Con un commento su Libération, l'economista francese critica il governo socialista e avanza una serie di ipotesi di riforma delle politiche europee e della Francia. Lo abbiamo tradotto

Thomas Piketty, l’economista francese divenuto famoso per aver restituito centralità al tema delle diseguaglianze con il suo Capitale, ha scritto questo editoriale per Liberation, molto critico con il governo socialista. Lo abbiamo tradotto quasi tutto perché parla anche della sinistra italiana e della sua capacità di immaginare.

Sì, è possibile combattere le disuguaglianze in Francia e in Europa, qui e ora. Contrariamente alle affermazioni dei conservatori, ci sono sempre delle alternative, tra destra e sinistra, naturalmente, ma anche tra molte politiche di sinistra, tutte rispettabili, ma tra le quali si deve scegliere. Per ridefinire una alternativa di sinistra di fronte alla marea montante di destra, dobbiamo discutere apertamente, in forma esigente e rigorosa: è l’unico modo per evitare che le decisioni vengano poi assunte altrove.

Per affrontare le disuguaglianze, si serve prendere assieme due strade: imporre un riorientamento della politica europea che ci consenta di uscire dall’austerità e dal dumping fiscale e sociale, e, in Francia, adottare le riforme progressiste necessarie, senza utilizzare l’inazione europea come una cattiva scusa.
Partiamo dalla questione europea. Si possono immaginare tre grandi ambiti su cui intervenire con un’ampia gamma di possibilità: la ricerca di politiche migliori nel contesto delle istituzioni esistenti; la rifondazione democratica e sociale di queste istituzioni; l’uscita di sicurezza. Alcuni pensano sia possibile stimolare la crescita, rilanciare l’occupazione e migliorare gradualmente la situazione economica e sociale nel quadro delle attuali istituzioni europee. Questa è la tesi del governo in carica dal 2012 e i risultati si commentano da soli. Tuttavia, si può sostenere che sia possibile fare meglio in futuro e che riformare i trattati non sarebbe cosa facile. La seconda posizione, che difendo, è che rinegoziare il trattato fiscale del 2012 sia possibile e necessario, se si vuole perseguire politiche di progresso sociale in Europa. A quel testo vanno aggiunte la democrazia e la giustizia. La scelta del livello di deficit e la politica di stimolo dovrebbero essere decisa dalla maggioranza di un Parlamento della zona euro, che rappresenti i cittadini in maniera egualitaria e non essere l’applicazione di criteri di bilancio indiscriminati. E dobbiamo superare la regola dell’unanimità per stabilire una tassa comune sulle grandi società e un minimo di giustizia fiscale. Se Francia, Italia e Spagna (che insieme rappresentano il 50% del Pil e della popolazione della zona euro), proponessero un progetto specifico, poi la Germania (poco più del 25%) dovrebbe accettare un compromesso. (…)

La terza posizione, è la via d’uscita: si riconosce il fallimento della zona euro e si immagina uno scenario per il recupero della sovranità monetaria e fiscale. Questa posizione mi pare prematura, penso che dovremmo prima dare una reale possibilità alla ricostruzione democratica e sociale alla zona euro e all’idea di Europa. Ma capisco la frustrazione. Questo dibattito non dovrebbe essere tabù a sinistra (…)
Passiamo alle riforme progressiste per la Francia. Ci sono molte cose che possono essere prese immediatamente, a prescindere dall’esito dei negoziati europei. Come molti cittadini, continuo a pensare che è possibile implementare una imposta progressiva su tutti i redditi, raccolta alla fonte per una maggiore efficienza e personalizzata per promuovere la parità di genere e l’autonomia. Questa nuova tassa potrebbe aiutare a ricostruire un modello di finanziamento della nostra protezione sociale, che si regge troppo sui contributi salariali e il settore privato. La misura potrebbe essere completata da un grande imposta patrimoniale progressiva, dalla fusione della tassa sugli immobili e sulla ricchezza, per alleviare l’onere di chi tenta di accedere alla proprietà e non coloro che hanno già molto.

Ma ancora una volta, ci sono diverse posizioni possibili (…) tutte rispettabili a priori, a condizione però di enunciarle con precisione prima delle elezioni. E non per scoprire, dopo che gli elettori hanno parlato, che le riforme promesse sono impossibili da realizzare e che si deve deliberare l’aumento dell’Iva senza averlo mai nominato in precedenza. Queste menzogne uccidono l’idea stessa di democrazia. Oltre alla fiscalità, si possono fare molte cose in altri settori: istruzione, pensioni, sanità, democrazia sociale. Il sistema di istruzione superiore francese è tra i più diseguali: è il momento di investire pesantemente nelle università e riformare profondamente, conciliando uguaglianza e libertà. Sulle pensioni, è possibile unificare i sistemi pubblici e privati al fine di garantire meglio i diritti delle nuove generazioni e adattare il sistema alla complessità della loro carriera. I dipendenti dovrebbero essere maggiormente coinvolti nelle strategie aziendali: è la strada scelta da Svezia e Germania, funziona meglio di qui e potrebbe ancora essere migliorata. Su tutti questi temi servono dibattito, chiarezza, democrazia. Questa è la condizione di ricreare speranza.