«Ho una malattia ma non sono malato», dice Ezio Bosso parlando della patologia degenerativa che lo ha colpito. Nonostante il progredire della Sla e l’aver dovuto affrontare anche un tumore al cervello, Bosso non ha smesso di comporre e di fare musica, anche in concerti dal vivo sui palchi di tutto il mondo. Senza cercare di nascondere lo sforzo che gli richiede. Ogni giorno di più. «Sto lavorando a strumenti musicali che si possano adattare alla disabilità – racconta -.Abbiamo bisogno di mostrare la nostra fragilità: non c’ è nessuno che si deve mostrare più forte». Una fragilità che sul palco, nel fluire avvolgente della sua musica, diventa straordinaria forza espressiva.
La musica di Ezio Bosso ha il colore limpido di uno zampillante ruscello di montagna, anche quando è innervata di malinconia e di un sottile dolore. Lo notavamo a dicembre sulle pagine di Left, dopo aver ascoltato The 12th Room, uno straordinario doppio album che, da quando è uscito a ottobre 2015 per l’etichetta Egea, gli intenditori si passano di mano in mano. Un tam tam che è cresciuto e che finalmente dilaga dopo la serata di Sanremo, che ha svolto egregiamente quello che dovrebbe essere il suo compito: rendere popolari musicisti veri e di talento.
Enzo Bosso lo è a pieno titolo e in modo fuori dal comune. Talento precocissimo suonava già prima di imparare a scrivere. Ha diretto molte orchestre in Italia e all’estero, tantissime le collaborazioni , a cominciare da quella con un violoncellista come Mario Brunello, con il quale lavora dal 2013 essendo diventati nel frattempo amici strettissimi. Ma è stato anche al fianco di Sergej Krylov e di Gidon Kremer in orchestre come la London Symphony. E a Londra, dove vive, facendo la spola con Torino, ha diretto la London Strings.
Cosmopolita ma anche eclettico, ha suonato alla Carnegie Hall NYC, alla Sydney Opera House, Palacio de las Bellas Artes di Mexico city e in molti altri teatri in giro per il globo trovando il tempo anche per comporre per il cinema, suo – per esempio -, il quartetto d’archi del film Io non ho paura di Salvatores.
Ma la vera sorpresa è questo concept album The 12th Room di straordinaria forza espressiva, in cui mescola sonorità contemporanee ( Ezio Bosso è stato “allievo” di Philip Glass) e atmosfere impressionistiche e romantiche.
Queste dodici “stanze” , come Bosso chiama i suoi brani evocando una misura poetica antica, rappresentano simbolicamente un percorso attraverso altrettante tappe della vita dove il silenzio, un silenzio denso di senso, parla altrettanto delle note. Qui il musicista e compositore distilla dodici brani e una lunga, toccante, sonata che non si interrompe mai (pur essendo divisa in tre movimenti), un flusso che dura più di 45 minuti.
L’interdisciplinarità, la ricerca, spaziando fra musica, arte e teatro, è uno dei fili rossi che percorre tutto il suo lavoro, consapevolmente cercando di superare l’autoreferenzialità di tanta arte contemporanea, cercando di ricreare il modo di lavorare che avevano gli artisti delle avanguardie storiche, a cominciare da Kandinsky e Schönberg che inseguivano il sogno dell’opera totale in cui i differenti linguaggi artistici non fossero meramente giustapposti. «Senza l’interdisciplinarietà non esisterebbe l’opera – ha detto Ezio Bosso intervistato da Arskey -. Non mi riferisco solo all’opera lirica, ma parlo dell’esigenza di sposare i pensieri e di muoversi tra pensieri e discipline. In questi anni c’è stato un lento progredire verso l’assolutismo dell’autoreferenzialità non più dell’arte, ma dell’artista: l’artista è diventato molto più ego riferito e soprattutto comincia ad esserci un’involuzione, perché non è più l’arte a cambiare il mercato, ma è il mercato a cambiare l’arte e questo, dal mio punto di vista, non può essere funzionale alla crescita». E ancora: «Non si uniscono più le forze e proprio per questo, c’è un’esigenza di ripartire da una maggiore interdisciplinarietà. Kandinsky e Schönberg sono un esempio perfetto di quello che intendo, l’applicazione delle due teorie, in un metodo quasi a scontro. Ma penso anche al rapporto tra Sol LeWitt e Philip Glass. Quando Philip Glass era un ragazzo attirò l’attenzione perché sonorizzava Sol LeWitt e questo tipo di esperienza ha portato a una forma di sincretismo».
Chi ha avuto la fortuna di ascoltare Ezio Bosso dal vivo nei recenti concerti di Milano e Roma sa che è un’occasione davvero da non perdere. Ecco dunque i prossimi appuntamenti da segnarsi in agenda: il 27 febbraio Ezio Bosso suonerà alla Lavanderia a Vapore di Collegno (To). E poi l’8 aprile a Cagliari (Salone del Conservatorio), il 12 aprile all’Auditorium Parco della Musica, il 19 aprile al teatro Teatro Puccini di Firenze. @simonamaggiorel
www.eziobosso.it
https://soundcloud.com/egeamusic/sets/ezio-bosso-the-12th-room/s-8KXpM
Qui l’intervista a Ezio Bosso di Rainews24:http://www.rainews.it/dl/rainews/media/Ezio-Bosso-il-mondo-ha-bisogno-di-musica-fb9e2897-f138-467f-bf23-5df7167eea11.html