Aggiornamento delle 19: Durante la giornata la Turchia ha alzato la posta, chiedendo 6 miliardi invece dei 3 promessi dall’Europa lo scorso anno in cambio della riammissione dei migranti. Non solo: Ankara chiede anche più visti di ingresso per i cittadini turchi e l’accelerazione dei negoziati per la adesione all’Unione europea e un sistema di ritorno dei rifugiati in Europa – ovvero: noi riprendiamo i migranti espulsi ma l’Europa si deve fare carico di una parte dei rifugiati siriani.
Se a questo si accostano le perplessità di Angela Merkel sul linguaggio usato nel testo di risoluzione di cui si parla qui sotto, quelle di Martin Schulz e molti altri sulle trattative con la Turchia in materia di membership europea (la crisi dei rifugiati e l’ingresso della Turchia in Europa non possono essere parte della stessa trattativa, dice il presidente socialdemocratico del Parlamento Ue), la cena di stasera si presenta densa di questioni da risolvere. Molti leader europei di centrodestra sono infatti per mantenere il linguaggio che parla di chiusura della rotta balcanica – che di fatto è già chiusa, come Idomeni ci mostra bene – e di membership turca non vogliono sentire parlare. La giornata si è arricchita anche del discorso fatto da Erdogan, che ha criticato l’Europa per non aver versato i soldi promessi. Il problema dell’Europa, specie della commissione e della Germania, che vogliono risolvere la crisi in maniera europea. E in questo senso le alleanze tradizionali dei giorni della crisi dell’euro sembrano saltate: Berlino oggi è più vicina a Roma e Atene che non a Londra o Parigi.
Aggiornamento delle 13: da Bruxelles arrivano voci su una possibile revisione del testo finale diffuso questa mattina. Angela Merkel sarebbe contraria alla formulazione relativa alla chiusura della rotta balcanica che potete leggere qui sotto, il suo portavoce ha detto che il testo circolato è frutto di speculazioni e la stessa premier tedesca ha spiegato che «non si tratta di parlare di chiusura». È in corso un braccio di ferro, il vertice si è aperto e mezzogiorno con la presenza turca, i leader europei si riuniranno di nuovo nel pomeriggio (senza il turco Davutoglu) per scrivere il comunicato finale. Vedremo quale sarà la versione finale. Intanto pare di capire che la Turchia abbia alzato il prezzo finale per la propria collaborazione. Cosa chiede in cambio dell’aiuto Davutoglu? Solo più soldi o anche mano libera in Kurdistan (in Siria non può).
Chiudere la rotta balcanica a migranti e rifugiati e rispedire più gente possibile in Turchia in cambio di soldi (3 miliardi di eruo) e due occhi chiusi in materia di diritti umani. Se vogliamo fare una sintesi un po’ facilona di quanto sta per accadere al vertice straordinario europeo sull’immigrazione (con Turchia presente) convocato per oggi a Bruxelles, il concetto è questo.
Dopo una settimana di viaggi nelle capitale europee e ad Ankara, il piano individuato dal presidente del Consiglio europeo, il polacco Donald Tusk, è semplice a dirsi e difficile (e brutto) a farsi. Fermare i flussi irregolari attraverso i Balcani e in ingresso in Grecia, accelerare la redistribuzione delle persone che hanno diritto all’asilo e il rinvio a casa, passando per la Turchia, di quelle che non ce l’hanno. Obbiettivo finale: scoraggiare i flussi migratori verso l’Europa, far capire al mondo che la politica delle porte aperte è finita e tornare lentamente alla normalità in materia di controllo dei confini all’interno dell’Europa – ovvero tornare alla normalità di Schengen.
Questo almeno è quel che si evince dalla copia della dichiarazione finale del vertice di oggi ottenuta da Politico Europe sulla quale, scrive Jacopo Barigazzi citando una fonte diplomatica anonima «non ci sono controversie».
Il testo della dichiarazione citato da Barigazzi recita: «I flussi irregolari di migranti lungo la rotta dei Balcani stanno volgendo al termine; questa strada è chiusa» e che l’obbiettivo è quello di applicare la road map della Commissione europea. Il percorso stabilito prevede un ritorno alla normalità di Schengen a dicembre, dopo che la Grecia avrà risposto alle 50 raccomandazioni avanzae da Bruxelles, l’Europa avrà monitorato i comportamenti di Atene, Frontex sarà stata rafforzata, le navi da guerra Nato e Frontex che monitorano il mare davanti alla Grecia avranno determinato una riduzione dei flussi – lotta al contrabbando di esserei umani, lo chiamano – e così via.
Il testo riconosce che di strade ce ne sono altre: non è difficile infatti pensare a una strada che dalla Grecia porti in Albania e dalle coste albanesi in Puglia – o anche più semplicemente facendo un viaggio per mare più lungo e più rischioso.
A oggi un terzo delle persone che arrivano sulle isole greche sono siriani, ma molti altri sono iracheni (c’è l’Isis e ieri a Baghdad sono morti in molti a causa di un’autobomba) o afghani. Che destino avranno? E gli attivisti politici curdi turchi sui quali in queste settimane? Il tema non è secondario, mentre Ankara negoziava gli accordi con Bruxelles, aumentava la repressione interna in Kurdistan e sulla stampa di opposizione: l’ultimo atto clamoroso è l’occupazione manu militari della redazione di Zaman, giornale critico nei confronti di Erdogan e del suo AKP. La reazione europea è di sdegno moderato: Mogherini collega l’ingresso in Europa della Turchia al record sui diritti umani, ma a dire il vero il tema non è a llordine del giorno, la discussione è su chi si riprende i rifugiati in maniera che Austria, Germania, Danimarca, Francia la smettano con i controlli di frontiera. Del destino dei rifugiati e di quello degli oppositori in Turchia, a Bruxelles non sembrano preoccuparsi troppo.
Il piano Ue ha anche un altro problema: il diritto internazionale richiede che le domande di asilo vengano valutate prima di respingere le persone. L’asilo è una questione individuale: sei tu che sei in pericolo o perseguitato, non un popolo. Per questo le Nazioni Unite mettono in dubbio l’idea di respingimenti di massa. Il piano, insomma, potrebbe non rispondere alle norme del diritto internazionale.
La prossima settimana è previsto un altro vertice che dovrebbe anche riscrivere le norme degli accordi di Dublino (che prevedono che un richiedente asilo debba fare domanda nel primo Paese dove mette piede, lasciando, in questa fase, il grosso degli oneri a Italia e Grecia). Un’ipotesi allo studio – anticipata dal Financial Times – prevede la revisione totale degli accordi e l’introduzione di un sistema di quote per i richiedenti asilo. A ciascuno un po’. È lo stesso tipo si ipotesi approvata mesi fa durante il punto più alto dell’emergenza. E che non è stata messa in pratica per disfunzioni e scarsa collaborazione dei Paesi dell’est (e non solo).
Ieri intanto 25 persone sono morte in mare – ne arrivano ancora 2mila al giorni sulle costre greche – e in Slovacchia ha vinto l’estrema destra nonostante il premier Fico la avesse rincorsa sul terreno di immigrazione e rifugiati. E al confine greco macedone la situazione resta catastrofica: entrano in Europa solo i siriani che dimostrano di venire da aree dove si combatte.