È il 25 aprile. Che bello, mio dio, evviva, la resistenza, evviva, il 25 aprile. E tutti a festeggiare il 25 aprile facendo finta che davvero la liberazione sia rimasta liberata, come se non fosse che il Paese si sia ritrovato infognato in un fascismo peggiore, indicibile, sotterraneo, mimetizzato e ormai potabile.
Il fascismo del rendere chiunque non sia d’accordo con la maggioranza un complicato detrattore: è fascista l’incapacità di ricevere critiche e osservazioni, bollarle come delazione, e trasformare i disaccordi in gufi. Rientra nel gioco facile della demonizzazione di chiunque sia d’altra opinione: se bollo gli altri come nemici mi libero dal fardello di doverli contrastare nel merito. Un gioco semplice, banale, superficiale: fascista, appunto.
Il fascismo di considerare i fragili un peso: l’abitudine di credere che chi ha avuto meno sia un’anomalia da eliminare è caratteristica fondante di un regime che chiede fede piuttosto che fiducia. «Se non ce l’hai fatta significa che non hai abbastanza nerbo» è la frase con cui il potere fabbrica il condono dei propri fallimenti. «Se non funzioni è colpa tua» e così, di colpo, vale solo quello che decidono loro.
Il fascismo di ritenere il cattivismo una nozione fondamentale: se il buonismo diventa una debolezza significa che il sistema è troppo poco sociale per mantenersi sulle regole e quindi ha bisogno di una presunzione minima per garantire la sussistenza. È come se d’improvviso ci si accorgesse che l’architettura sociale si mantiene in ordine solo lasciando spazio alle piccole presunzioni personali. Socialità sconfitta nelle regole che galleggia nei piccoli privilegi elemosinati. Una cosa così.
Il fascismo di non opporsi alla riscrittura della storia: come se la moderazione debba per forza passare dall’accettazione dei deliri della controparte perché altrimenti risulta troppo faticoso ristabilire la verità. Così succede che il 25 aprile sopportiamo tutti un po’ di neofascismo in cambio del nostro diritto (dovere) di festeggiare. E così prende piede una normalizzazione che è lo sbiancamento della Resistenza. Ma molti credono che sia il giusto dazio da pagare.
La Resistenza di avere la schiena diritta: chiamare ladri i ladri, prepotenti i prepotenti e smetterla di servire i potenti per avere in cambio un briciolo di legittimità. La Resistenza ci insegna che ci sono diritti e doveri inviolabili indipendentemente dall’etichetta di chi prova a corromperli. Non è questione di destra o di sinistra, no: si tratta di capaci contro gli incapaci, di inetti, venduti, servi che riescono comunque a raggiungere i posti di potere. Avere la schiena diritta, oggi, in questo 25 aprile, significa provare ad osare avendo un’opinione differente. Ed è così poca cosa, rispetto ai nostri partigiani.