Chi è Pino Maniaci? Un giornalista dalla schiena dritta o un ricattatore di paese? Avrebbe fatto passare come intimidazione mafiosa l'uccisione dei suoi cani, che invece sapeva essere opera del marito dell'amante. Avrebbe estorto qualche centinaio di euro e un contratto di solidarietà per la sua compagna ai sindaci di Borgetto e Partitico, minacciando che se no li avrebbe presi di mira con la televisione. Avrebbe ottenuto una telefonata di solidarietà persino da Matteo Renzi per poi vantarsene: "anche quello stronzo mi ha chiamato" e millantare credito. Infine, saputo dell'indagine ai suoi danni, avrebbe falsamente accusato la procura di volersi vendicare per le sue inchieste sulla pessima gestione dei beni confiscati alla mafia, in cui era implicata un magistrato. Un comportamento, diciamo, non lineare. Tuttavia Antonio Ingroia, un tempo pubblico ministero a Palermo ora avvocato, sostiene che il linguaggio rude di Maniaci "possa essere stato male interpretato" e confida che il direttore di TeleJato possa "provare la sua innocenza". Noi siamo garantisti, attenderemo. Tuttavia ha ragione Rosy Bindi: dalle intercettazioni emerge comunque "un quadro desolante". Un quadro che peraltro si poteva intuire: una televisione senza soldi in un piccolo paese, si rimediano pochi euro di pubblicità, si rompono le scatole di qualche potente e poi le chiacchiere da bar, le amanti e i mariti che minacciano di "romperti le corna". Non se ne esce. Sempre a Borsetto sei, o a Partitico, lotte operaie o di braccianti non se ne vedono più, si vive di denaro pubblico e, come si può, di agricoltura, si respira mafia a pieni polmoni. Ecco la scorciatoia: quasi tutti vogliono nascondere qualcosa e davanti alla telecamera "tutti sono in fibrillazione", dice Pino.. Io -forse pensa questo- sono qui ma non sono qui, vivo la mafia ma ho il distintivo dell'antimafia.Ho amici a Roma, autorità, giornalisti, autori televisivi che mi invitano e mi usano per contrapporre il folklore a fin di bene -la mia faccia, il linguaggio "rude" che uso- al folklore cattivo, che usa linguaggio rude della mafia. Così si sente potente, forse onnipotente nella realtà del paese. Di Maniaci non mi sono mai fidato troppo, non tanto di lui ma del mondo che gli vedevo in faccia. L'ho frequentato poco e confesso di aver guardato certi entusiasmi per lui di giornalisti e docenti universitari con quel tipico, insopportabile, distacco ironico a cui talvolta noi siciliani non sappiamo resistere. Posso aver avuto torto e allora manderà un mazzo di fiori al Maniaci, per scusarmi. E anche se avessi avuto ragione -chiariamo- non sarebbe comunque una condanna, che ha bisogno di riscontri e fatti, non di sensazioni. Tutto qui. Voglio tuttavia approfittare dell'occasione per consigliare a taluni amici incauti di studiare un po' di più le terre di mafia e di moderare il loro entusiasmo nei confronti dei tanti che oggi si presentano con il distintivo dell'antimafia. Vedete se scendo sotto casa a Palermo,mi guardo intorno e scorgo il mafioso del quartiere: è lì, lo sanno tutti. Lui mi saluta -sono un uomo pubblico, non ho diritto alla privacy- poi dice a un amico torinese "non si preoccupi, qui al Capo, nessuno le ruberà la macchina fotografica". Nessuno lo farà, in effetti, perché i commercianti per strada non vogliono che un ladruncolo gli rovini il mercato, perché non vogliono lo scippo e la denuncia (e la polizia tra i piedi) quelli che muovono un traffico discreto di motorini che - si dice- sposterebbero partite di droga e di soldi. Un giorno il mafioso vuol parlare di politica. E come se ne intendono di politica i mafiosi della mia città. Non ho prove, non fatti contro di lui, gli rispondo con cortesia, senza confidenza, tengo le distanze. Alla fine saluta. Sono un nemico, ma mi so comportare. Che c'entra questo con la vulgata nazionale, con lo Stato che sarebbe in lotta diuturna contro l'Anti Stato, con i martiri e i giornalisti dalla schiena dritta, minacciati da un nemico che spunta dal nulla -novella setta dei Beati Paoli- e colpisce nell'oscurità? No, la mafia colpisce d'estate, come dice Pif e in pieno giorno. Non si nasconde, ti avverte prima. Chi si considera il reggente del territorio vuole che tu sappia quello che lui farà a casa sua. L'essenziale è che non ci siano prove. E a Partitico o a Borgetto? Se scoppia la pace di mafia -e pare che questo fosse il caso- con c'è più trippa per TeleJato. E magari la trippa una se la cerca, provando a condire il piatto come se ce ne fosse. La mafia ti ignora ma alla mafiosità non c'è riparo: "Che cerca questo, che vuole che vede mafia dove non c'è, a chi vuole rompere i cablassi". Arrivano le soffiate, le maldicenze, gli sgarbi, a cui magari ti viene voglia di rispondere con un altro sgarbo. Per fargli vedere chi sei. In questa storia non c'entra neppure "la mafia dell'antimafia" e le sue colpe che vedo evocate in tanti articoli. Quella, purtroppo, è una cosa seria: imprenditori e politici che fanno carriera all'ombra dell'ipocrita divisione della Sicilia in presunti buoni, noti e applauditi, e presunti cattivi, sempre killere brutti e sporchi o mandanti sempre misteriosi. Lì sì, con questa mafia dell'antimafia, che ci vorrebbe una bella inchiesta. Comunque non alla portata di Pino Maniaci, che se l'avesse tentata -temo- sarebbe stato soffiato lontano come un fuscello dal forte vento dello scirocco.

Chi è Pino Maniaci? Un giornalista dalla schiena dritta o un ricattatore di paese? Avrebbe fatto passare come intimidazione mafiosa l’uccisione dei suoi cani, che invece sapeva essere opera del marito dell’amante. Avrebbe estorto qualche centinaio di euro e un contratto di solidarietà per la sua compagna ai sindaci di Borgetto e Partitico, minacciando che se no li avrebbe presi di mira con la televisione. Avrebbe ottenuto una telefonata di solidarietà persino da Matteo Renzi per poi vantarsene: “anche quello stronzo mi ha chiamato” e millantare credito. Infine, saputo dell’indagine ai suoi danni, avrebbe falsamente accusato la procura di volersi vendicare per le sue inchieste sulla pessima gestione dei beni confiscati alla mafia, in cui era implicata un magistrato. Un comportamento, diciamo, non lineare. Tuttavia Antonio Ingroia, un tempo pubblico ministero a Palermo ora avvocato, sostiene che il linguaggio rude di Maniaci “possa essere stato male interpretato” e confida che il direttore di TeleJato possa “provare la sua innocenza”.
Noi siamo garantisti, attenderemo. Tuttavia ha ragione Rosy Bindi: dalle intercettazioni emerge comunque “un quadro desolante”. Un quadro che peraltro si poteva intuire: una televisione senza soldi in un piccolo paese, si rimediano pochi euro di pubblicità, si rompono le scatole di qualche potente e poi le chiacchiere da bar, le amanti e i mariti che minacciano di “romperti le corna”. Non se ne esce. Sempre a Borsetto sei, o a Partitico, lotte operaie o di braccianti non se ne vedono più, si vive di denaro pubblico e, come si può, di agricoltura, si respira mafia a pieni polmoni. Ecco la scorciatoia: quasi tutti vogliono nascondere qualcosa e davanti alla telecamera “tutti sono in fibrillazione”, dice Pino.. Io -forse pensa questo- sono qui ma non sono qui, vivo la mafia ma ho il distintivo dell’antimafia.Ho amici a Roma, autorità, giornalisti, autori televisivi che mi invitano e mi usano per contrapporre il folklore a fin di bene -la mia faccia, il linguaggio “rude” che uso- al folklore cattivo, che usa linguaggio rude della mafia. Così si sente potente, forse onnipotente nella realtà del paese. Di Maniaci non mi sono mai fidato troppo, non tanto di lui ma del mondo che gli vedevo in faccia. L’ho frequentato poco e confesso di aver guardato certi entusiasmi per lui di giornalisti e docenti universitari con quel tipico, insopportabile, distacco ironico a cui talvolta noi siciliani non sappiamo resistere.
Posso aver avuto torto e allora manderà un mazzo di fiori al Maniaci, per scusarmi. E anche se avessi avuto ragione -chiariamo- non sarebbe comunque una condanna, che ha bisogno di riscontri e fatti, non di sensazioni.
Tutto qui. Voglio tuttavia approfittare dell’occasione per consigliare a taluni amici incauti di studiare un po’ di più le terre di mafia e di moderare il loro entusiasmo nei confronti dei tanti che oggi si presentano con il distintivo dell’antimafia. Vedete se scendo sotto casa a Palermo,mi guardo intorno e scorgo il mafioso del quartiere: è lì, lo sanno tutti. Lui mi saluta -sono un uomo pubblico, non ho diritto alla privacy- poi dice a un amico torinese “non si preoccupi, qui al Capo, nessuno le ruberà la macchina fotografica”. Nessuno lo farà, in effetti, perché i commercianti per strada non vogliono che un ladruncolo gli rovini il mercato, perché non vogliono lo scippo e la denuncia (e la polizia tra i piedi) quelli che muovono un traffico discreto di motorini che – si dice- sposterebbero partite di droga e di soldi. Un giorno il mafioso vuol parlare di politica. E come se ne intendono di politica i mafiosi della mia città. Non ho prove, non fatti contro di lui, gli rispondo con cortesia, senza confidenza, tengo le distanze. Alla fine saluta. Sono un nemico, ma mi so comportare.
Che c’entra questo con la vulgata nazionale, con lo Stato che sarebbe in lotta diuturna contro l’Anti Stato, con i martiri e i giornalisti dalla schiena dritta, minacciati da un nemico che spunta dal nulla -novella setta dei Beati Paoli- e colpisce nell’oscurità? No, la mafia colpisce d’estate, come dice Pif e in pieno giorno. Non si nasconde, ti avverte prima. Chi si considera il reggente del territorio vuole che tu sappia quello che lui farà a casa sua. L’essenziale è che non ci siano prove. E a Partitico o a Borgetto? Se scoppia la pace di mafia -e pare che questo fosse il caso- con c’è più trippa per TeleJato. E magari la trippa una se la cerca, provando a condire il piatto come se ce ne fosse. La mafia ti ignora ma alla mafiosità non c’è riparo: “Che cerca questo, che vuole che vede mafia dove non c’è, a chi vuole rompere i cablassi”. Arrivano le soffiate, le maldicenze, gli sgarbi, a cui magari ti viene voglia di rispondere con un altro sgarbo. Per fargli vedere chi sei.
In questa storia non c’entra neppure “la mafia dell’antimafia” e le sue colpe che vedo evocate in tanti articoli. Quella, purtroppo, è una cosa seria: imprenditori e politici che fanno carriera all’ombra dell’ipocrita divisione della Sicilia in presunti buoni, noti e applauditi, e presunti cattivi, sempre killere brutti e sporchi o mandanti sempre misteriosi. Lì sì, con questa mafia dell’antimafia, che ci vorrebbe una bella inchiesta. Comunque non alla portata di Pino Maniaci, che se l’avesse tentata -temo- sarebbe stato soffiato lontano come un fuscello dal forte vento dello scirocco.