Una nuvola di polvere si alza davanti al filo spinato e al reticolo di ferro alto tre metri che separa il confine tra l’Ungheria e la Serbia, mentre il pick-up anteguerra dei vigilantes della municipalità di Asotthalom sobbalza di continuo sulle buche dello sterrato, sul lato ungherese. Alla guida è Shandor, un uomo di 32 anni in tenuta paramilitare con una folta barba e i capelli lunghi raccolti in un codino. Con occhio truce scruta attentamente l’orizzonte serbo per scovare qualche ombra che si muove fra i cespugli. In paese è conosciuto come “cavallo pazzo” e fa parte della polizia locale anti-migranti della città: una squadra di 5 “buoni cittadini” formata nel maggio 2014 per volontà del sindaco di Asotthalom, László Torczai.
Il lavoro di Shandor consiste nell’acciuffare i migranti che dalla Serbia attraversano illegalmente il confine: «Di solito passano di qui, intorno alle 5 del mattino», dice indicando un punto della frontiera dove in corrispondenza di un fiumiciattolo il muro è più basso. «Tagliano il filo spinato e si danno alla macchia, ma prima o poi sono costretti a seguire un sentiero o ad addentrarsi in città: così li scovo, li immobilizzo e li ammanetto prima di consegnarli alla polizia».
Il governo di Viktor Orbán ha predisposto la costruzione del muro anti-migranti a fine agosto 2015, in seguito al picco di arrivi che l’estate scorsa che colpito tutto il paese, e in particolar modo la cittadina frontaliera di Asotthalom, di 4.200 abitanti. In quel periodo d’intenso dibattito politico, i vigilantes della città hanno riscosso un successo mediatico tale da far schizzare alle stelle anche l’indice di popolarità del loro sindaco Toroczkai: una fama che gli è valsa la recente nomina a vicepresidente di Jobbik, il partito euro-scettico e ultra nazionalista dell’estrema destra ungherese.
«Il problema è che non esiste una guardia di frontiera dall’accordo di Schengen», spiega László Torczai seduto nel suo ufficio, «sono i poliziotti o i militari a pattugliare il confine e, oltre a non essere sufficientemente addestrati, sono pagati male e ruotano troppo frequentemente». Stando al sindaco i “suoi ragazzi”, invece, acciufferebbero un centinaio di migranti al giorno grazie alla collaborazione dei concittadini che, quando avvistano i migranti, non chiamano la polizia locale, bensì Shandor e i suoi colleghi. I vigilantes, secondo la legislazione, sarebbero dei civili; di fatto, hanno ricevuto un training dalla polizia per andare in giro armati. Sono inoltre ben equipaggiati grazie a fondi speciali predisposti dal ministero degli Interni e grazie a una campagna di crowdfunding promossa dallo stesso Torczai per il suo nuovo gruppo paramilitare.
«Torczai è il tipico nazista ben travestito, ma non scordiamo che Jobbik è ancora pieno di negazionisti dell’Olocausto, di anti-semiti e persone che appartengono a movimenti per la supremazia della razza bianca», precisa l’analista Péter Krekó del think tank Political Capital Institute. A un anno dalla più grande crisi dei rifugiati che il Paese abbia mai affrontato, l’argomento migranti rimane la questione più scottante sul tavolo del governo. Nonostante l’Ungheria sia un Paese di transito e non una destinazione finale, e nonostante dalla costruzione del muro i transiti siano pressoché decimati, il partito governativo di centrodestra Fidesz ha tutto l’interesse a mantenere alto l’“allarme”.
Il 5 luglio, sull’onda della Brexit, la Fidesz del premier Orbán ha preparato la convocazione per un referendum il prossimo 2 ottobre con il pieno appoggio di Jobbik. Il quesito posto ai cittadini ungheresi sarà: «Volete che l’Ue decreti una riallocazione obbligatoria dei cittadini non Ungheresi in Ungheria, senza l’approvazione del Parlamento ungherese?».
Le destre temono che, se Germania e Austria dovessero chiudere le frontiere, molti richiedenti asilo in Ungheria – 1.800 per ogni 100mila abitanti nel 2015 secondo Eurostat, il tasso più alto del continente contro una media europea di 260 – verrebbero bloccati nel Paese dei magiari. Ma c’è di più.
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