Torino-Karthoum sola andata, con scalo a Il Cairo: questo il destino dei 48 migranti sudanesi che oggi – 24 agosto – sono stati trasferiti in autobus da Ventimiglia a Torino per essere rimpatriati nel loro Paese. È la prima espulsione diretta di questo genere, che rientra nell’“operazione di alleggerimento” pianificata e annunciata nelle scorse settimane dal capo della polizia Franco Gabrielli. Dei 48, in parte sono stati respinti alla frontiera francese e in parte fermati a Ventimiglia, dove la Croce rossa riferisce di un calo dell presenze da 450 a 393 nel centro transitorio di accoglienza del Parco Roja.
In Sudan non è garantita la tutela dei diritti umani, come dimostrano la cronaca e i rapporti delle organizzazioni umanitarie. Specialmente per chi proviene dal Darfur. «È preoccupante che l’Italia stia deportando queste persone in un paese dove alcuni gruppi corrono un rischio concreto di gravi violazioni dei loro diritti umani, sulla base di un accordo di riammissione il cui contenuto non è chiaro», ha dichiarato Amnesty International Italia. L’associazione ha chiesto chiarezza in merito all’accordo di riammissione recentemente stipulato tra il governo italiano e quello sudanese e in particolare alle garanzie a tutela delle persone riammesse. Il timore, pur non conoscendo l’identità delle persone rimpatriate è che «tra esse possano esservi persone provenienti dal Darfur o altri individui a rischio di refoulement. L’organizzazione si oppone a qualunque rimpatrio di persone originarie del Darfur verso il Sudan – dove rischiano persecuzioni, repressioni brutali e altri gravi abusi».
Rimpatri volontari assistiti o rimpatri coatti? Non è dato saperlo al momento, perciò il senatore Pd Luigi Manconi, che presiede la Commissione Diritti Umani al Senato, ha presentato oggi un’interrogazione urgente «per chiedere chiarimenti a proposito del volo diretto a Khartoum con cui tra poche ore saranno rimpatriati dall’Italia decine di migranti sudanesi, senza che vi sia alcuna garanzia sulla loro incolumità». Nell’ultimo anno, segnala Manconi, molti cittadini sidanesi hanno chiesto protezione all’Italia e all’Europa, ottenendola nel 60% dei casi. «Alla luce del grande sforzo fatto per accogliere e tutelare i profughi e i fuggiaschi che attraversano il Mediterraneo, non possiamo correre il rischio di rimpatriare nessuno senza adeguate garanzie sulla sua vita. Fosse anche una sola persona. Chiedo, di conseguenza, che la situazione individuale di tutti i cittadini sudanesi destinati a essere rimpatriati venga riesaminata col massimo rigore», ha concluso Manconi. Già ieri i deputati di Possibile Pippo Civati, Andrea Maestri e (l’eurodeputata) Elly Schlein hanno lanciato l’allarme «deportazione» e chiesto chiarezza al ministro Alfano: «L’aspetto più inquietante – dice Civati a Left – è che quanto accade vada così apertamente contro tutte le norme italiane, europee e internazionali». Il divieto di espulsioni /respingimenti (anche differiti) collettivi, infatti, è previsto dall’art. 4 del 4° protocollo addizionale alla Cedu, e viola l’art. 33 della Convenzione di Ginevra del 1951, l’art. 10 comma 3 della Costituzione italiana, gli artt. 2, 13 e 19 comma 1 del TU Immigrazione».
La politica dei rimpatri forzati ha contraddistinto le politiche del Viminale guidato Maroni. E l’ex capo del Viminlae, oggi governatore della Lombardia, non ha esitato a ricordare che «i denari dell’Ue per i rimpatri volontari sono inutili» e «servono i rimpatri forzati». Altro che relocation e distribuzione in Europa, altro che accoglienza diffusa e sistema Sprar. All’orizone si nascondono nuove deportazioni per gli africani che non saranno riconosciuti titolari di uno status di protezione, anche se nel Paese di origine i diritti umani non vengono rispettati. Come in Sudan, Paese che è incluso nei piani del Migration Compact: la proposta presentata dal governo italiano all’Unione europea per controllare i flussi di migrazione nel Mediterraneo, che prevede accordi tra l’Ue e i Paesi di origine e transito delle migrazioni (soprattutto africani): soldi e aiuti in cambio dell’impegno a bloccare le partenze. E ancora l’affidamento ai Paesi di transito della decisione sul diritto alla protezione internazionale. Tra questi Paesi c’è anche il Sudan di Al-Bashir, con cui l’accordo è stato raggiunto proprio il 5 agosto (ricordate Ventimiglia?).
Dietro gli annunci di relocation e quote, pare nascondersi una politica migratoria che ruota attorno alle procedure di espulsione di “irregolari” e a quelle con accompagnamento forzato”diniegati”. «A questo punto, forse, non si nasconde nemmeno più», dice Pippo Civati. In ballo c’è la sorte di chi si vede diniegare la richiesta d’asilo ai quali, tra l’altro, si vorrebbe ridurre anche la possibilità di fare ricorso, così come proposto con il disegno di legge del ministro Orlando, le possibilità di ricorso effettivo.