Dagli aedi dell’Antica Grecia ai cantastorie dei giorni nostri, passando per i menestrelli del Medioevo. C’è sempre un artista che, in pubblica piazza, racconta storie con il canto. Left ha incontrato Vinicio Capossela, Peppe Voltarelli e Baba Sissoko

Dagli aedi dell’Antica Grecia ai cantastorie dei giorni nostri, passando per i menestrelli del Medioevo.
C’è sempre un artista che, in pubblica piazza, racconta storie con il canto.
Storie antiche che sanno dell’oggi, che narrano di gesta quotidiane e contengono significati universali.
L’umanità tramanda la sua storia in forma orale da sempre e, spesso, lo strumento prediletto è la musica. Corde di una chitarra, pelli di un tamburo o un’intera banda, accompagnano canzoni libertarie che mettono a nudo la realtà, abbattono ogni muro e ricordano agli uomini chi sono. E dove comincia la loro Storia.
Left ha incontrato tre cantastorie: Vinicio Capossela, Peppe Voltarelli e Baba Sissoko.

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Vinicio Capossela

«Ricreare la memoria del mondo, col canto». Ecco cosa fa un cantastorie, secondo Vinicio Capossela. Non gli spiace affatto esser chiamato così, anzi, ride divertito e replica: «Forse sono un “contastorie”, inteso come “lu cunto” (lo racconto)». Canta e suona di storie antiche da sempre, Vinicio. Corna in testa e pellicce in corpo, immerso nelle sue maschere libera l’“invasato” e ci meraviglia, con quel fare che fu degli aedi, i cantori dell’Antica Grecia prima e dei cantastorie di ogni parte del mondo, poi.
Il grande potere conoscitivo del canto epico che narra persino l’inenarrabile, quando lo hai scoperto?
Sono sempre stato attratto dal canto epico, è qualcosa che va oltre la propria esperienza personale, e canta di una vicenda o di una storia, ma di una storia più generale, universale. E, soprattutto, è sempre connesso al senso della meraviglia, al meravigliare l’ascoltatore cantando un racconto verosimile. Mi hanno incantato i grandi aedi a partire da Omero, del resto l’Odissea era fatta per essere cantata. E quando leggevo Omero non mi veniva in mente la storia, ma le mie vecchie nonne che da piccolo ascoltavo, quel senso dell’onore, anche quel saper descrivere il contesto ambientale, la stagione, la presenza della terra, della pioggia, degli elementi naturali. E tutto questo confluire, questo modo di raccontare è quasi un prolungamento di questa cultura antica, quasi aedica.

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Peppe Voltarelli

«Un bel pretesto per esplorare ancora di più il Sud, lontano dai cliché». Terrone che canta in dialetto, libertario che pensa con la sua testa. Voltarelli (che canta Profazio) fa opera di rivendicazione politica e culturale omaggiando il cantastorie calabrese Otello Profazio, uno dei cantanti dialettali più importanti del Meridione. Per incontrarlo, Peppe Voltarelli, ha percorso la Salerno-Reggio a bordo di un’auto diretta a Pellaro, estremo sud di Reggio Calabria. Poi, chitarra e voce, in stile Profazio, gli ha eseguito sul divano di casa l’album con le tracce scelte tra le centinaia del suo repertorio che spazia nelle musiche e nelle lingue di tutto il Sud. «L’opera di Otello è un gran lavoro di raccolta, di esplorazione e anche di diffusione e riscrittura della musica popolare», dice Voltarelli: «Ho sentito l’esigenza di avvicinarmi a questo artista, studiarlo, capire quale fosse il suo metodo, poi ho pensato che rendendogli omaggio in vita mi sarei sentito più ricco, e anche più orgoglioso di conoscere la storia della mia gente». Il ricordo di quell’incontro sta tutto dentro un’emozionata e fragorosa risata di Peppe: «Quando gli ho portato il disco è rimasto contento, ha fatto un po’ di osservazioni, come “sai, le sfumature sono importanti, io vivo di sfumature” (riprende a ridere). Otello ha sempre fatto musica in maniera radicale, chitarra e voce, qualche volta anche fregandosene della tecnica. Ma credo sia stata una grande gioia per lui vedere le sue creature col vestito buono.

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Baba Sissoko

«Sono un griot afrocalabrese», ride forte Baba Sissoko. È nato e cresciuto nell’antichissima città di Timbuctù, in Mali, terra africana dove il blues, il jazz e il soul hanno profonde radici che hanno regalato al mondo musicisti come Salif Keita, Ali Farka Touré, Toumani Diabate. Ma Baba vive a Cosenza da quasi 20 anni, insieme alla moglie e i tre figli nati qui. «La musica popolare da queste parti e in tutto il Sud è proprio come il sapere dei griot, perché parla di Storia e trasmette sapere». Le parole e i pensieri, quando si parla con Sissoko, assumono un tono spirituale e terreno insieme. Alza forte il tono della voce, di tanto in tanto, e poco dopo rasserena l’aria con un sorriso. Dev’essere il potere magico dei griot, pensiamo. Baba Sissoko è un griot, ovvero un poeta e cantore che conserva la tradizione orale degli antenati, come tradizione africana comanda.

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