Dove si vince? Nei Battleground States (o Swing states o Purple States). Di colore viola, né rosso repubblicano né blu democratico
Le elezioni non si decidono a New York. E nemmeno in California o Texas. Tutte, sempre, si combattono in una manciata di Stati che tendono a cambiare colore o ad assegnare la vittoria a un partito per pochi voti. Qui si concentra la campagna elettorale, qui si spendono i soldi, qui si corteggia ogni singolo gruppo, ogni singolo voto. I più swing di tutti sono Florida e Ohio. Dal 2008 in poi il numero di swing states è aumentato: i nuovi entrati sono Virginia, North Carolina, Colorado dove l’afflusso di giovani bianchi e le minoranze storiche hanno cambiato la demografia e gli orientamenti elettorali. Quest’anno ballano anche Pennsylvania, Nevada, New Hampshire e Iowa. Seguire quelli, saprete chi vince.
Come si vince? Ottenendo 272 collegi elettorali
Collegi elettorali. Un sistema astruso che non garantisce che chi prende più voti vinca le elezioni. Sono le delegazioni degli Stati che eleggono il presidente. Il voto popolare, infatti, elegge dei superdelegati di ciascuno Stato in numero pari alla delegazione di eletti in Congresso (2 senatori per ogni Stato e un numero di rappresentanti calibrato sulla popolazione) che a loro volta esprimono il voto per il presidente. I componenti del collegio non hanno vincolo di mandato, ma alcuni Stati puniscono l’eventualità in cui il grande elettore decide di non seguire le indicazioni degli elettori. Per vincere servono 270 voti. Nel 2012 Obama ne ottenne 265, nel 1984 Reagan 525. Come forse sapete, nel 2000 Al Gore prese più voti di Bush, ma perse le elezioni.
A che ora sapremo chi ha vinto? Presto. Forse
Qui sotto l’orario di chiusura dei seggi Stato per Stato. Se si escludono Nevada e Iowa tutti sono sulla costa est a sei ore di differenza dall’orario italiano. Quindi dopo l’una di notte (Florida e Ohio chiudono alle una italiana) ci si renderà conto di cosa succede. Poi, il presidente esce solo dopo che anche in Califronia si sono chiusi i seggi e il conto può essere ufficiale. Ciò detto, se alcuni Stati fossero “too close to call”, se il risultato fosse sul filo di pochi voti, tutto cambia.
Chi controllerà il Congresso?
Guardando gli Usa soprattutto dal punto di vista della politica estera, abbiamo la percezione che il presidente abbia un potere assoluto. Il braccio di ferro continuo tra presidente e maggioranza negli anni di Obama è li a dimostrare il contrario. Nel 2008 i democratici ottennero maggioranze nei due rami del Congresso. Perse malamente dal 2010 in poi. Oggi sperano di riconquistare il Senato, servono 5 seggi: hanno buone probabilità. Controllare Wisconsin, New Hampshire, Indiana, Michigan, North Carolina. Alla Camera i repubblicani hanno 247 voti su 435, ribaltare la maggioranza significherebbe un terremoto.
Quanti senatori si eleggono?
Un terzo dei 100. È un paradosso del sistema Usa: i senatori restano in carica sei anni, quindi quelli che si eleggeranno quest’anno decadranno alle elezioni di mezzo termine del 2022. I rappresentanti invece si eleggono tutti ogni due anni: alle presidenziali e al midterm. Praticamente vivono in campagna elettorale.
Ma perché si vota di martedì?
Dagli anni quaranta dell’Ottocento il suffragio è universale maschile. E l’America era un Paese di contadini. Gli elettori dovevano spesso fare viaggi lunghi per recarsi ai seggi nella città più vicina. La domenica era esclusa, che c’è la messa e non si lavora. Il mercoledì era il giorno di mercato. Martedì consentiva a chi veniva da lontano di muoversi il lunedì e tornare al mercato. Che la cosa non sia cambiata è uno dei paradossi americani. Oggi, il martedì non favorisce la partecipazione al voto.
Dove saranno i due candidati
Di solito i candidati sono vicini ai loro quartier generali. Obama era a Chicago, McCain in Arizona e così via. Stavolta, cosa eccezionale, sono tutti e due a New York. Città che non esprimeva un candidato da molto, molto tempo. Uno all’Hilton e l’altra in una specie di fiera, il Jarvis centre. Troppi giornalisti hanno chiesto l’accredito, quasi tutti gli stranieri se lo sono visto rifiutare. Anche nomi importanti.
Donne. Come voteranno?
Quanto influenzerà il voto la possibilità di una prima volta alla Casa Bianca? E quanto le disastrose (per lui) rivelazioni sulle molestie, le battute sessiste di Donald Trump? Nel 2012 le donne votarono Obama al 14% in più di Romney, gli uomini scelsero il repubblicano all’8% in più. È il gap tra voto maschile e femminile più ampio della storia. Aumenterà ancora?
Quanti ispanici voteranno?
Donald Trump ha vinto le primarie repubblicane grazie alla retorica sul muro lungo la frontiera messicana e la promessa di deportare gli 11 milioni di irregolari. Il che non ha fatto piacere ai 27 milioni di ispanici cittadini americani che hanno diritto di voto. Come non gli ha fatto piacere essere chiamati “bad hombres”, uomini cattivi durante l’ultimo dibattito Tv. Nel 2012 hanno votato 11,9 milioni e sono determinanti in Arizona, Nevada, Florida. Metà vota a New York, California e Texas, dove in teoria non c’è storia. Rispetto alle scorse elezioni, 3,2 milioni di ispanici hanno raggiunto l’età del voto. Hanno votato in numeri alti nel voto anticipato. È un segnale?
Marijuana legale?
Tra i referendum statali a cui gli elettori dovranno rispondere ci sono quelli sulla legalizzazione della marijuana in 9 Stati. California, Arizona, Massachusetts, Maine, e Nevada votano per la piena legalizzazione. Florida, Montana, Nord Dakota e Arkansas per quella medica. Ovunque è in vantaggio il Sì. Altri referendum importanti riguardano il controllo delle armi.
As goes Ohio, so goes the nation
È un detto elettorale che significa più o meno, chi vince in Ohio vince le elezioni. Non nel senso che lo Stato è l’ago della bilancia, ma piuttosto perché dal 1962 a oggi chi ha vinto le elezioni ha anche vinto nel Buckeye State. L’Ohio ha una demografia e una struttura sociale che riflette abbastanza quella del Paese. Il 2016 potrebbe rappresentare una eccezione: tra gli swing states, l’Ohio è quello dove Hillary Clinton è più in difficoltà.