Rieccoci. In questo Paese tutte le grandi questioni di cui discutere si trasformano in bordate tra figure prominenti, titoli roboanti, polemiche e querele. Oggi sappiamo che Enrico Mentana querelerà Beppe Grillo per aver incluso il logo del TG da lui diretto nel post in cui parla di “spacciatori di notizie false” e tribunali del popolo. Peccato perché il tema di come, cosa sia una notizia e come trattarla è cruciale. Nel Web nasce e cresce una quantità impressionante di materiale vero, non vero, quasi vero, distorto.
Facciamo un esempio che non c’entra nulla con Grillo e poi torniamo al post del leader de facto dei 5 Stelle. E che non è nemmeno una notizia falsa. Ieri la Camera del Congresso Usa a guida repubblicana ha abolito una commissione etica interna che era incaricata di vigilare sui comportamenti e i conflitti di interesse. Lo ha fatto di notte nel primo giorno in cui il nuovo Congresso si è riunito. La notizia ha generato sdegno. E per questo, dopo qualche ora, il presidente entrante Donald Trump ha twittato: «Con tutto quel che c’è da fare, davvero il Congresso deve abolire il watchdog sull’etica?». Trump entra nella questione, non dice che i suoi hanno fatto una porcheria, ma sembra farlo, perché dice che è sbagliato. Un modo per non rompere con la sua maggioranza e per far commentare tutti che “Trump interviene nella questione”. Senza dire nulla. La dinamica della rete, la corsa a coprire la notizia, genera discussione pochi minuti dopo e il presidente eletto, così, sembra aver preso posizione senza averla presa. Un modo abile di esserci, far parlare di sé, creare una notizia senza fare nulla. Negli Usa, mentre la rete italiana discute di Mentana e Grillo, si discute dei tweet di Trump. Alla fine i rappresentanti repubblicani hanno fatto mezzo passo indietro, per lo sdegno suscitato dai media. La lettura immediata e prima che si sappia cosa è successo nel meeting è: Trump twitta, i repubblicani obbediscono. La verità è probabilmente diversa: lo sdegno suscitato per una decisione presa di soppiatto, ha reso necessario un passo indietro. E una nuova brutta figura.
L’effetto è simile con Grillo: il post è un’invettiva, non una proposta vera. È un modo come un altro di dire «noi contro loro» dove i “loro” sono i media, tutti, che lavorano per frenare l’avanzata trionfale dei Cinque Stelle. Di fronte alle difficoltà oggettive incontrate dalla giunta Raggi – e all’oggettiva crociata di alcuni giornali e media contro di essa, per carità – Grillo decide che è il momento di tornare a prendersela con i media e a difendere la rete. Ora, è pur vero che nei giorni scorsi ci è stato spiegato (dal presidente dell’Antitrust Pitruzzella) che forse lo Stato dovrebbe punire chi pubblica notizie false e decidere cosa è vero. Una nozione sbagliata e fuori tempo massimo. L’autorevolezza del giornalista sopra le parti non esiste più. Ci sono figure che erano più o meno vissute come imparziali e autorevoli, oppure parziali, ma autorevoli nonostante la propria partigianeria. Non è più il momento. L’idea che sia lo Stato a decidere cosa e come, poi…
Come spesso capita nel discorso populista, Grillo (ma anche Pitruzzella, a dire il vero) mescola cose diverse ma serve a indicare il nemico. Un conto è dare notizie palesemente false che chi scrive sa essere tali, altro è fare uno scoop per scoprire che si tratta di un errore, altro ancora è stiracchiare una notizia con un titolo e delle allusioni, ma senza dire nulla di palesemente non vero. Sfumature di grigio e non buon giornalismo comunque, ma cose diverse. Ovvero: l’ossessione e spesso l’enfasi data alle notizie su Roma e sui guai della Giunta Raggi – che è la stessa usata con Marino, anche dai 5 Stelle – sono chiaramente figlie della volontà di danneggiarne l’operato. Ma hanno un fondamento di verità. Invece capita che ci siano notizie sul blog di Beppe Grillo o dei 5 Stelle che sono palesemente, clamorosamente false e che rimangono dove sono, per fare clickbait o per vendere idee false alla gente. Citiamo un caso minore di cui abbiamo parlato: c’è un articolo su George Soros presunto finanziatore delle manifestazioni anti Trump di cui parliamo qui ripreso da Linkiesta (altra pratica discutibile) che finanzia le manifestazioni anti-Trump dove notizie vere e false si mescolano, dove cose note e vecchie di anni prendono forma di rivelazione e il contesto scompare. L’articolo riporta cose false, ma mentre scriviamo è ancora online. Ecco, entrambe le cose sono un pessimo servizio, e non è la rete da difendere, ma c’è un lavoro enorme da fare per fare in modo che le persone imparino a distinguere, a informarsi meglio, a criticare non le cose con le quali non sono d’accordo, ma quelle palesemente fatte male.
Infine l’idea-provocazione di Grillo: istituire «una giuria popolare che determini la veridicità delle notizie pubblicate dai media. Cittadini scelti a sorte a cui vengono sottoposti gli articoli dei giornali e i servizi dei telegiornali. Se una notizia viene dichiarata falsa il direttore della testata, a capo chino, deve fare pubbliche scuse e riportare la versione corretta dandole la massima evidenza in apertura del telegiornale o in prima pagina se cartaceo». L’idea fa spavento ed è fatta per far parlare e rafforzare le convinzioni degli elettori dei 5 Stelle che i media siano intrinsecamente al soldo di qualcuno. Come dicono anche Trump e Nigel Farage. Il Minculpop ma popolare non è la soluzione, così come non lo è il controllo pubblico. E nemmeno il ritorno ai bei tempi in cui i giornali e i Tg mediavano tra le cose che accadevano e la cose che tutti dovevamo sapere. Ma il problema delle bufale online esiste. È un grande tema dei nostri tempi e qualche idea bisognerà trovarla. Aprire una grande e seria discussione sarebbe utile. Come spesso accade, invece, oggi e domani faremo il tifo per le giurie popolari o per la querela di Mentana e contro il Grillo-Robespierre (come lo definisce un tweet del Pd). Peccato.