A Gazebo, per le strade di Roma, scarrozza in vespa Diego Bianchi. Ma Andrea Salerno è un autore cult. Conosce bene la Rai, le regole dei social e le cattive abitudini dei giornali. E, soprattutto, la troppa disinvoltura di certi politici

Citata da Renzi nel suo discorso di dimissioni. Finita rapidamente in ogni talk, anche per merito di Beppe Grillo che ha proposto la via dei tribunali popolari. Il 2016 è stato l’anno della post-verità, senza dubbio. Ma è questa, quella che viviamo, veramente, l’era delle bufale? Su Left, in edicola dal 14 gennaio, di questo (ma anche di Rai, di Gazebo, di politici un po’ troppo simpaticoni) abbiamo parlato con Andrea Salerno, giornalista, autore cult, direttore editoriale di Fandango e – ovviamente – volto di Gazebo, la trasmissione di Diego Bianchi in onda su Raitre.

«Proprio in questi giorni», è una delle cose che ci fa notare Salerno, «si festeggiano i dieci anni dell’iPhone: è chiaro che è cambiato tutto. Ma la propaganda è sempre esistita e non deve sorprenderci, anche nelle sue forme più incredibili e smaccate». Certo, possiamo notare che ciò che chiamiamo post-verità è una faccia del populismo e che le fake news viaggiano rapide, spesso spinte dalla rabbia. Sì, ma non si pensasse di dare la colpa ai social. Anche perché lì, continua Salerno, «la rabbia e i sentimenti più beceri vivono insieme agli altri, non sono i soli. Sono i più visibili, quelli che più ci sorprendono, ma anche questa non è una novità. E non vorrei fare il classico esempio raccontando cosa successe quando Radio Radicale aprì a tutti il microfono…».

Insulti, cattiverie, vomito, rabbia.

Più importante è dunque registrare un’ulteriore evoluzione nella diffusa diffidenza verso i media tradizionali, una diffidenza cresciuta negli anni, cavalcata da Grillo ma ripresa da altri, Matteo Renzi compreso: «C’è sicuramente un problema di autorevolezza dei media, del giornalismo e dell’informazione professionale. Che sta, peraltro, inseguendo i social, e io», dice sempre Salerno, «non sono affatto sicuro che sia la cosa giusta da fare. Se apri il sito di importanti giornali o le loro pagine facebook o twitter, senza una chiara gerarchia, fisicamente a pochi centimetri di distanza da un’inchiesta importante, dall’ultima intervista di Bauman o da un editoriale pensoso, c’è la breve sul coccodrillo più grande del mondo o il video di un incidente tanto spettacolare quanto, magari, falso. Non credo che questo possa aiutare a segnare la differenza che c’è tra uno dei tanti siti acchiappa clic – che già molto spesso viene preferito – e una testata autorevole».

«La post-verità così la fanno tutti non c’è un colpevole e non ci sono i grandi virtuosi», continua Salerno prima di dirci la sua sulla vicenda Verdelli e la Rai del governo Gentiloni e su come i politici ormai strafanno, sui social e non solo. Lui, fosse un consulente, inviterebbe a un po’ più di contegno, sia mai che qualcuno riesca ancora a dare l’esempio. Ma l’integrale è in edicola o sullo sfogliatore.

L’intervista a Andrea Salerno è uno degli articoli che trovi sul numero di Left in edicola dal 14 gennaio 

 

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Sono nato a Roma, il 23 febbraio 1988. Vorrei vivere in Umbria, ma temo dovrò attendere la pensione. Nell'attesa mi sposto in bicicletta e indosso prevalentemente cravatte cucite da me. Per lavoro scrivo, soprattutto di politica (all'inizio inizio per il Riformista e gli Altri, poi per Pubblico, infine per l'Espresso e per Left) e quando capita di cultura. Ho anche fatto un po' di radio e di televisione. Per Castelvecchi ho scritto un libro, con il collega Matteo Marchetti, su Enrico Letta, lo zio Gianni e le larghe intese (anzi, "Le potenti intese", come avevamo azzardato nel titolo): per questo lavoro non siamo mai stati pagati, nonostante il contratto dicesse il contrario.