Cosa dicono i quesiti
La data - attesa e rivendicata ripetutamente dal sindacato, che nel frattempo era partito il 22 febbraio con la campagna referendaria #con2esì - è stata fissata stamattina dal Consiglio dei ministri, e coincide con la finestra elettorale delle amministrative (15 aprile - 15 giugno). Per i mille Comuni che dovranno rinnovare le proprie amministrazioni non c'è ancora una data. È Arturo Scotto, anche lui confluito in Articolo1 Dp, a chiederne l'accorpamento delle due votazioni, che, come ricorda il collega Francesco Laforgia, permetterebbe di risparmiare 300 milioni di euro.A ruota, anche Michele Emiliano chiede un "election day" - come la segretaria Susanna Camusso e l'M5s - e dichiara apertamente la sua opposizione al progetto di legge del partito a capo della cui segreteria si sarebbe candidato: «Voterò due volte Sì ai referendum della Cgil», spiega «perché le norme sul lavoro vanno azzerate e riscritte da capo, col contributo di tutte le parti sociali. Farsi dettare le ricette sulla scuola e sul lavoro dai poteri esterni non va bene». Esulta la Cgil, naturalmente.Finalmente data #ReferendumLavoro. Si voterà il 28 maggio su #voucher e #appalti. Adesso necessario accorpare con turno amministrativo.
— Arturo Scotto (@Arturo_Scotto) 14 marzo 2017
In realtà, però, la vittoria dell'indizione è minata dalle intenzioni del governo, che sta cercando di svuotare la portata dei referendum modificando il decreto Damiano. La proposta di modifica della disciplina del lavoro accessorio - che porta la firma di Patrizia Maestri (Pd) - è attualmente al vaglio in Commissione Lavoro alla Camera assieme ad altre 7. Ma, come ha scritto sul numero di Left in edicola Giorgio Airaudo, «soltanto una chiede l'abrogazione completa della normativa», ed è quella di Sinistra italiana. Perfino quella dei 5stelle non si discosterebbe particolarmente dall'originale dell'ex ministro del Lavoro. L'esame del provvedimento dovrebbe iniziare domani e terminare non si sa bene quando. «Dipende dal Governo», ha detto Maestri, «noi faremo il possibile». Il motivo per cui Commissione e partiti si stanno dando tanto da fare sul testo di legge, è che al di là dei singoli quesiti e di cosa potrebbero eventualmente ed effettivamente abrogare, la consultazione del 28 maggio è molto di più di una semplice referendum: «Sarà un voto sulla precarietà in generale», scrive sempre Airaudo, «e sulla legislazione del lavoro che ormai da vent'anni - dal pacchetto Treu in poi - precarizza le condizioni delle lavoratrici e dei lavoratori, riducendoli ad apolidi senza contratti, senza diritti e senza regole», che come testimoniano anche i dati sul Jobs act elaborati dalla Fondazione Adapt (il centro studi fondato dal giuslavorista ucciso dalle nuove Br, Marco Biagi, padre del contratto a progetto e del lavoro occasionale), è aumentata a seguito delle riforme del governo Renzi. «Non può dirsi oggi raggiunto l’obiettivo principale del Jobs Act, più volte comunicato, di invertire il rapporto tra il flusso dei contratti a tempo determinato e quello dei contratti a tempo indeterminato», scrive il rapporto pubblicato dal fattoquotidiano.it, nonostante gli sgravi contributivi siano costati allo Stato l'equivalente di una manovra finanziaria, «circa 20,3 miliardi di euro». Alla riduzione della decontribuzione, nel 2016, ha corrisposto «una crescita netta di 221mila contratti a tempo determinato (+187%)”. Non solo, per quanto per mancanza di dati non sia evidente, l'istituto ha registrato, tra il 2014 e il 2016, l'aumento costante dei licenziamenti per giusta causa o giustificato motivo soggettivo». Di questa precarizzazione estrema, «i voucher ne sono solo la manifestazione estrema». Non solo. Com'è successo per il refrendum costituzionale del 4 dicembre scorso, che ha determinato di fatto la ritirata (momentanea) di Renzi, anche la consultazione del 28 sarà un voto che porterà i cittadini a esprimersi in merito alla gestione della materia lavoro del governo stesso. Sarà un nuovo appuntamento in cui i cittadini, più che alle elezioni, esprimeranno la loro opinione su chi li governa.Finalmente al voto ! il 28 Maggio 2017 si vota per il #ReferendumLavoro con 2 SI ! E' questa la democrazia.#LiberailLavoro 🎈🎈🎈 pic.twitter.com/XyGYD5rkmJ
— Filcams Roma e Lazio (@EFilcams) 14 marzo 2017
«Leggi anche: «Non possiamo dire mai di no e metà del lavoro resta al nero». Com’è la vita del voucherista
È fissata per il 28 maggio 2017 la data dei referendum sull’abolizione dei voucher e sulla responsabilità solidale negli appalti, promossi dalla Cgil e dichiarati ammissibili dalla Corte Costituzionale a gennaio (al contrario di quello che avrebbe voluto l’abolizione del Jobs act). Essendo referendum abrogativi, sarà necessario raggiungere il quorum.
Cosa dicono i quesiti
La data – attesa e rivendicata ripetutamente dal sindacato, che nel frattempo era partito il 22 febbraio con la campagna referendaria #con2esì – è stata fissata stamattina dal Consiglio dei ministri, e coincide con la finestra elettorale delle amministrative (15 aprile – 15 giugno). Per i mille Comuni che dovranno rinnovare le proprie amministrazioni non c’è ancora una data. È Arturo Scotto, anche lui confluito in Articolo1 Dp, a chiederne l’accorpamento delle due votazioni, che, come ricorda il collega Francesco Laforgia, permetterebbe di risparmiare 300 milioni di euro.
Finalmente data #ReferendumLavoro. Si voterà il 28 maggio su #voucher e #appalti. Adesso necessario accorpare con turno amministrativo.
— Arturo Scotto (@Arturo_Scotto) 14 marzo 2017
A ruota, anche Michele Emiliano chiede un “election day” – come la segretaria Susanna Camusso e l’M5s – e dichiara apertamente la sua opposizione al progetto di legge del partito a capo della cui segreteria si sarebbe candidato: «Voterò due volte Sì ai referendum della Cgil», spiega «perché le norme sul lavoro vanno azzerate e riscritte da capo, col contributo di tutte le parti sociali. Farsi dettare le ricette sulla scuola e sul lavoro dai poteri esterni non va bene».
Esulta la Cgil, naturalmente.
Finalmente al voto !
il 28 Maggio 2017 si vota per il #ReferendumLavoro con 2 SI !
E’ questa la democrazia.#LiberailLavoro
🎈🎈🎈 pic.twitter.com/XyGYD5rkmJ— Filcams Roma e Lazio (@EFilcams) 14 marzo 2017
In realtà, però, la vittoria dell’indizione è minata dalle intenzioni del governo, che sta cercando di svuotare la portata dei referendum modificando il decreto Damiano. La proposta di modifica della disciplina del lavoro accessorio – che porta la firma di Patrizia Maestri (Pd) – è attualmente al vaglio in Commissione Lavoro alla Camera assieme ad altre 7. Ma, come ha scritto sul numero di Left in edicola Giorgio Airaudo, «soltanto una chiede l’abrogazione completa della normativa», ed è quella di Sinistra italiana. Perfino quella dei 5stelle non si discosterebbe particolarmente dall’originale dell’ex ministro del Lavoro. L’esame del provvedimento dovrebbe iniziare domani e terminare non si sa bene quando. «Dipende dal Governo», ha detto Maestri, «noi faremo il possibile».
Il motivo per cui Commissione e partiti si stanno dando tanto da fare sul testo di legge, è che al di là dei singoli quesiti e di cosa potrebbero eventualmente ed effettivamente abrogare, la consultazione del 28 maggio è molto di più di una semplice referendum: «Sarà un voto sulla precarietà in generale», scrive sempre Airaudo, «e sulla legislazione del lavoro che ormai da vent’anni – dal pacchetto Treu in poi – precarizza le condizioni delle lavoratrici e dei lavoratori, riducendoli ad apolidi senza contratti, senza diritti e senza regole», che come testimoniano anche i dati sul Jobs act elaborati dalla Fondazione Adapt (il centro studi fondato dal giuslavorista ucciso dalle nuove Br, Marco Biagi, padre del contratto a progetto e del lavoro occasionale), è aumentata a seguito delle riforme del governo Renzi. «Non può dirsi oggi raggiunto l’obiettivo principale del Jobs Act, più volte comunicato, di invertire il rapporto tra il flusso dei contratti a tempo determinato e quello dei contratti a tempo indeterminato», scrive il rapporto pubblicato dal fattoquotidiano.it, nonostante gli sgravi contributivi siano costati allo Stato l’equivalente di una manovra finanziaria, «circa 20,3 miliardi di euro». Alla riduzione della decontribuzione, nel 2016, ha corrisposto «una crescita netta di 221mila contratti a tempo determinato (+187%)”. Non solo, per quanto per mancanza di dati non sia evidente, l’istituto ha registrato, tra il 2014 e il 2016, l’aumento costante dei licenziamenti per giusta causa o giustificato motivo soggettivo».
Di questa precarizzazione estrema, «i voucher ne sono solo la manifestazione estrema».
Non solo. Com’è successo per il refrendum costituzionale del 4 dicembre scorso, che ha determinato di fatto la ritirata (momentanea) di Renzi, anche la consultazione del 28 sarà un voto che porterà i cittadini a esprimersi in merito alla gestione della materia lavoro del governo stesso. Sarà un nuovo appuntamento in cui i cittadini, più che alle elezioni, esprimeranno la loro opinione su chi li governa.