Pensatore postmoderno e nichilista, Foucault aveva eletto Heidegger - il filosofo dell’essere per la morte - a proprio maestro. Uno sferzante saggio di Jean-Marc Mondosio denuncia l’incoerenza e l’irresponsabilità del filosofo francese

 Tra tutti i filosofi francesi sulla cresta dell’onda negli anni Sessanta e Settanta «lui è quello che ha avuto maggiore fortuna critica», nota Jean-Marc Mandosio in Longevità di una impostura: Michel Foucault, puntuale e sferzante saggio che Oltralpe ha fatto molto discutere e che ora esce in Italia  pubblicato da Enrico Damiani. Dopo essere stata il punto di riferimento per il Maggio francese la sua opera «ha conosciuto una seconda giovinezza con l’infatuazione dei docenti americani per la French Theory» e poi  ha ispirato una lunga schiera di epigoni, alcuni – come vedremo – a dir poco imbarazzanti per un pensatore che si dice progressista. Ciò che colpisce lo studioso e polemista Mandosio è anche l’intoccabilità della sua figura diventata nel giro di pochi anni quasi un oggetto di culto.

Un consenso unanime e acritico, denunciaMandosio, circonda Foucault nonostante le sue numerose giravolte politiche, nonostante la dissociazione che mina i suoi scritti e il nihilismo che li abita. «Citazionista disinvolto», «banderuola opportunista», «sofista incoerente e irresponsabile». Così lo definisce il docente della Sorbona in questo suo acuminato pamphlet, argomentando con dati e fatti alla mano. Resta però un mistero: se la costruzione filosofica foucaultiana «è una deliberata invenzione» che sulla scorta di Heidegger arriva a negare l’esistenza di una natura umana universale, se il suo pensiero anti identitario contesta ogni tentativo di ricerca della verità, perché è diventato un santino della sinistra?

«Foucault ha saputo presentarsi come un pensatore che ha “rivoluzionato” tutto, dalla storia della follia alla teoria del potere, dall’epistemologia, alla storia della sessualità, mentre si è sempre mantenuto in sintonia con le mode intellettuali del tempo: fenomenologia negli anni 50, strutturalismo negli anni 60, maoismo dopo il 1968, antitotalitarismo dopo l’arrivo di Solženicyn, per finire con gli “esercizi spirituali” e la scoperta del liberalismo economico negli anni di Thatcher e Reagan. Sicché in Foucault c’è di tutto per tutti», dichiara Mandosio a Left. Sottolineando che «Foucault è la figura più compiuta che ci sia di anti-istituzionalismo istituzionale». Le sue opere sono raccolte nella collana della Pléiade che accoglie solo classici, e le sue carte sono state dichiarate “tesoro nazionale” dallo Stato francese nel 2012. «Perciò rivendicare Foucault – chiosa l’autore di Una lunga impostura – offre un doppio vantaggio: quello del finto radicalismo (i foucaultiani parlano spesso del “rischio” che si corre a pensare con Foucault), temperato dal riconoscimento accademico che fa di Foucault una carta vincente». Il risultato? «Chi critica Foucault è quindi automaticamente messo fuori gioco. Ciò permette di fare come se le critiche, numerosissime sin dagli anni Sessanta sui diversi aspetti dell’opera di Foucault, non esistessero.

L’intervista di Simona Maggiorelli aJean-Marc Mondosio prosegue sul numero di Left in edicola


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