Lo studioso di politiche sanitarie lancia la proposta di una riforma dei consultori, ormai diventati doppioni degli ambulatori ginecologici o pediatrici. Ma prima bisogna chiarire il motivo per cui si sono snaturati e hanno perso i loro scopi istitutivi

«Per favore non chiamateli più consultori», con questa frase Giuseppina Adorno chiude la sua lettera di denuncia pubblica sul declino dei consultori ponendo il problema del loro snaturamento, cioè di servizi con una “natura politica sociale sanitaria” diversa da quella dovuta, attesa e auspicata
Le cause? La lettera le riconduce sostanzialmente a delle tecnicalità cioè a problemi organizzativi (accoglienze limitate in spazi e tempi ridotti, visite ginecologiche ogni 15 minuti come nei poliambulatori, scarsi operatori, percorso nascita effettuato in luoghi diversi dal consultorio, gestiti dall’ostetrica in modo separato dalle altre attività ecc).
Ma i problemi tecnici e organizzativi (innegabili) provengono da fenomeni più profondi rispetto ai quali mi limiterò ad indicarne solo alcuni.
La legge istitutiva dei consultori (come altre leggi degli anni 70) appartiene a una strategia in cui si concepiva la salute come emancipazione. Il consultorio nasce come uno strumento al servizio dell’emancipazione della donna e nel tempo rispetto ai problemi di sostenibilità questa natura politica si perde.
Nella logica della sostenibilità, i servizi diversi (territoriali e ospedalieri) entrano in competizione tra loro per assicurarsi le risorse. I consultori sono servizi penalizzati perché perdendo gli obiettivi di emancipazione cioè la loro specificità politica finiscono per essere considerati servizi come gli altri per di più deboli o complementari o addirittura secondari. La legge istitutiva dei consultori, che resta, per tante ragioni una grande legge da difendere, nasce sulla base di una serie di compromessi: il “compromesso storico” tra Pci e Dc dal quale proviene la definizione di “maternità consapevole libera e responsabile” e senza il quale non sarebbe nata la legge per l’ivg, la riproposizione dell’indissolubilità dell’organo riproduttivo con il prodotto concepito abbinato questa volta alla sessualità, alla contraccezione, quindi un consultorio per la famiglia e non solo per la donna come era stato teorizzato dal movimento femminista. Oggi i vari compromessi sono saltati. Non perdo tempo a fare degli esempi perché sono sotto gli occhi di tutti.

L’articolo di Ivan Cavicchi prosegue su Left in edicola


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