L’alimentazione del neonato è una concretizzazione del rapporto di affetto tra madre e figlio. Questo si sviluppa in modo naturale ed entrambi sanno cosa è giusto fare affinché tutte le funzioni fisiologiche si svolgano normalmente. Per questo la durata dell’allattamento non può essere predeterminata

La diffusione e la continuità dell’allattamento al seno hanno subìto una riduzione in molte zone del mondo per una serie di motivi sociali, economici e culturali. Con l’introduzione delle moderne tecnologie e l’adozione di nuovi modelli di vita, l’importanza attribuita a questa pratica tradizionale è notevolmente diminuita in molte società. La ricerca scientifica ha evidenziato l’importanza dell’alimentazione al seno: il latte che la mamma produce è un latte unico, inimitabile, specifico per il proprio bambino, con una composizione ideale per le sue esigenze nutritive e di sviluppo. Nel latte materno sono presenti nutrienti unici per la specie umana che influenzano l’espressione genica realizzando un processo epigenetico: è ricco di sostanze biologicamente attive che aiutano la digestione del bambino, rinforzano il suo sistema immunitario in maniera permanente, maturano il sistema nervoso e gli altri organi.

L’Organizzazione mondiale della sanità (Oms) e l’Unicef raccomandano l’allattamento al seno in maniera esclusiva fino al compimento del sesto mese di vita e consigliano che il latte materno rimanga la scelta prioritaria fino all’anno, anche dopo l’introduzione di alimenti complementari, e se possibile fino ai due anni di vita e oltre, e comunque finché mamma e bambino lo desiderino. Nel secolo scorso molti studiosi di psicologia hanno teorizzato sulla prima infanzia e hanno messo in risalto l’importanza della relazione madre-bambino e del bambino con l’ambiente. Nello stesso periodo metodi di ricerca innovativi hanno rilevato le precoci capacità comunicative del neonato e del bambino nella prima infanzia e la predisposizione al rapporto con un altro essere umano. Si realizzano studi che descrivono “i processi psicologici” nelle varie età di sviluppo, con attenzione all’interazione madre-bambino.

È grazie a questi studi di osservazione diretta dei neonati con le loro madri e nel loro ambiente che si sono potute superare le vecchie ideologie secondo le quali il bambino nasce narcisista (chiuso in se stesso) e polimorfo-perverso (naturalmente cattivo). Presupposti che hanno avuto come conseguenza un’educazione rigida e moralizzante. La cultura positivista ha paragonato il neonato ad una “tabula rasa”, un contenitore vuoto che deve essere riempito di nozioni, schemi comportamentali e regole morali. Oggi si cerca di avere una visione integrata cercando un nesso tra le ricerche neurobiologiche e quelle dello sviluppo della psiche…

L’articolo di Maria Gabriella Gatti prosegue su Left in edicola


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