Libertà e uguaglianza per tutti alla nascita, diritto alla vita, a non essere sottoposti a torture, diritto al movimento, diritto di asilo. E ancora: diritto di pensiero e di libera opinione. Ecco la storia della Carta approvata a Parigi il 10 dicembre 1948

Mai come oggi ci sarebbe la necessità di applicare la Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo. Principi fondamentali, scritti dopo la tragedia della guerra mondiale e milioni di vittime, ma purtroppo rimasti inattuati in gran parte del mondo. Eppure è scritto tutto lì, nero su bianco.

Tutti gli uomini nascono liberi e uguali, tutti hanno libertà di pensiero e di espressione, tutti sono uguali davanti alla legge e possono chiedere asilo. Tutti hanno il diritto alla vita. Tutti hanno diritto all’istruzione e a realizzare una vita degna. Tutti, proprio tutti. Al di là della religione, della razza e del sesso e al di là dello Stato in cui vivono.

È vero, sono solo parole, ma mai prima di allora erano state scritte così chiare, nero su bianco. Nel 1948, dopo la tragedia della seconda guerra mondiale gli Stati che nel ’45 avevano dato vita alle Nazioni Unite, compresero che «il riconoscimento della dignità di tutti i membri della famiglia umana e dei loro diritti uguali ed inalienabili, costituisce il fondamento della libertà, della giustizia e della pace nel mondo», si legge nel preambolo della Dichiarazione approvata il 10 dicembre a Parigi. Oggi, in un tempo in cui la diseguaglianza ha raggiunto livelli insopportabili nel mondo, in cui i pregiudizi, il fondamentalismo di ogni tipo e il razzismo schiacciano le persone entro confini in cui l’esistenza è sempre più abbrutita, la Dichiarazione del ’48 appare come un faro nella notte.

Eleanor, la donna della Dichiarazione

C’è una donna dietro alla Dichiarazione universale dei diritti umani approvata il 10 dicembre 1948. Eleanor Roosevelt è considerata un po’ l’artefice della Carta nata dalle ceneri della seconda guerra mondiale. Moglie di Franklin Delano Roosevelt, il padre del New Deal, in realtà era sua cugina mentre lo zio di entrambi era Teodore Roosevelt, altro presidente degli Stati Uniti. Eleanor per tutta la sua vita si è battuta per i diritti civili, delle donne e delle minoranze, ha guidato la reazione in patria sotto la seconda guerra mondiale e in seguito è stata una fiera oppositrice del maccartismo e della campagna anticomunista negli Usa sorta con la guerra fredda. Ma non era sola quel 10 dicembre del 1948 a Parigi. Al Palais de Chaillot, davanti alla Tour Eiffel c’erano gli altri membri del comitato di redazione che portò all’approvazione dei trenta articoli più lungimiranti che siano mai stati scritti sui diritti degli esseri umani.

Come si arrivò alla Dichiarazione

Oltre a Eleanor, americana, c’erano altri personaggi che arrivavano dai quattro angoli del mondo. Eccoli: René Cassin, giurista e diplomatico francese, era uno dei principali ispiratori, anzi, è considerato il padre spirituale della Dichiarazione. Del resto la Francia aveva già rotto molti tabù con la Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino del 1789. Poi c’era il canadese John Peters Humphrey, anche lui giurista e considerato uno dei padri del sistema di tutela dei diritti umani. E ancora: l’australiano William Hogdson, il cileno Hernan Santa Cruz, il sovietico Alexander Bogomolov, il libanese Charles Habib Malik, relatore del Comitato, il cinese Peng Chun Chang e il britannico Charles Dukes.

Il voto dell’assemblea

La dichiarazione venne approvata da 48 dei 58 Stati che allora facevano parte dell’assemblea generale dell’Onu. Due Stati non presero parte al voto: lo Yemen e l’Honduras mentre otto si astennero, e già da questo fatto, si comprende che aria tirasse dentro i loro confini. Per esempio uno fu il Sudafrica che allora era in pieno apartheid e che quindi non poteva votare sì a un’uguaglianza tra gli esseri umani senza distinzione di razza. Ma c’era anche l’Arabia Saudita, che già allora non digeriva la parità di diritti tra gli uomini e le donne. E poi, ad astenersi furono anche dei Paesi del blocco sovietico: Polonia, Cecoslovacchia, Jugoslavia e Unione Sovietica (Russia, Ucraina, Bielorussia). Pur professandosi comunisti contestavano il comma 1 dell’articolo 2 che sancisce che «a ogni individuo spettano tutti i diritti e tutte le libertà enunciate nella presente Dichiarazione, senza distinzione alcuna, per ragioni di razza, di colore, di sesso, di lingua, di religione, di opinione politica o di altro genere, di origina nazionale o sociale, di ricchezza, di nascita o di altra condizione». Tutti questi principi non andavano bene…

Gli articoli più belli, oggi traditi

Articolo 1

Tutti gli esseri umani nascono liberi ed uguali in dignità e diritti. Essi sono dotati di ragione e di coscienza e devono agire gli uni verso gli altri in spirito di fratellanza.

Articolo 3

Ogni individuo ha diritto alla vita, alla libertà ed alla sicurezza della propria persona.

Articolo 4

Nessun individuo potrà essere tenuto in stato di schiavitù o di servitù.

Articolo 5

Nessun indiividuo potrà essere sottoposto a tortura o a trattamento o a punizioni crdeli, inumani o degradanti.

Articolo 7

Tutti sono uguali davanti alla legge

Articolo 13

Ogni individuo ha diritto alla libertà di movimento e di residenza entro i confini di ogni Stato. E ha diritto di lasciare qualsiasi paese, incluso il proprio.

Articolo 14

Ogni individuo ha diritto di cercare e di godere in altri paesi asilo dalle persecuzioni.

Articolo 18

Ogni individuo ha diritto alla libertà di pensiero, di coscienza e di religione.

Articolo 19

Ogni individuo ha diritto alla libertà di opinione e di espressione.

Per leggerla tutta qui.