Un giorno mi sono trovato a chiedere a un mio allievo di quinta perché simpatizzasse per le idee fasciste. Non eravamo in classe, ma attorno a un tavolo per pranzare insieme, in un’atmosfera amichevole, dunque in una situazione adeguata. Mi ha risposto dicendomi che il fascismo ha a che fare con il cristianesimo come dimostra lo slogan “Dio, Patria, Famiglia” (e lui è, per tradizione, cristiano praticante), che l’immigrazione incontrollata è un male, e che c’è bisogno di ordine. Ho scoperto poi che nel liceo dove insegno non sono pochi i ragazzi che guardano a destra, e che – magari non dicendosi né sentendosi fascisti – sono comunque attratti da quella costellazione di valori.
Se dovessi dire che cosa spinge una parte della generazione presente verso quei riferimenti, sintetizzerei il tutto in un concetto chiave: paura. I giovani hanno paura. Hanno paura del futuro, prima di tutto, che è la paura peggiore. Lo vedono e lo sentono intorno a loro. La respirano, la paura. La respirano dai fratelli maggiori, dagli amici più grandi, dalle difficoltà che attraversano spesso i loro genitori cinquantenni, e i loro amici. Sanno quanto sarà difficile per loro trovare un lavoro, «costruirsi un futuro». Hanno sentore delle crisi economiche intorno a loro, ma anche delle crisi ambientali, che loro a volta fanno immaginare di essere «gli ultimi uomini sulla terra».
Il loro immaginario è quello di un’arena dove si deve lottare all’ultimo sangue per ottenere ciò che si vuole. Il mondo si fonda sulla selezione naturale malintesa come nell’Ottocento: non l’adattamento, che è ciò che Darwin intendeva, ma la lotta per la vita dove trionfa il più forte. Non ci può essere aiuto da nessuno, nessuna istituzione è al loro fianco. Quella è tutta, indistintamente, “Casta”, per cui…