Dopo un’attesa durata 32 anni, gli italiani - dal 14 dicembre 2017- hanno una legge sul testamento biologico: per dare le cosiddette disposizioni anticipate di trattamento (Dat). Finalmente una legge che riconosce il rispetto della libertà della persona, anche per quando non si sarà più in grado di scegliere. Questo è un testo di legge che eviterà altri casi come quello di Eluana Englaro; ma anche ricorsi ai tribunali come per Walter Piludu, Giovanni Nuvoli e Piergiorgio Welby, oggi è più chiaro che si ha il diritto - regolato da una legge - per potere rinunciare ai trattamenti sanitari in corso. Il Parlamento, infatti, ha trasformato in testo normativo quello che la giurisprudenza degli ultimi anni ha dovuto assicurare in assenza di una legge attraverso le tutele assicurate dagli artt. 13 e 32 della Costituzione. In particolare dove si afferma che la «libertà personale è inviolabile e nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge”, peraltro nella garanzia che questa non possa “in nessun caso violare i limiti imposti dal rispetto della persona umana». Sembrano, dunque, fuori dal tempo (non solo fuori tempo) le dichiarazioni del ministro della Salute, Beatrice Lorenzin, all’indomani dell’approvazione della legge in merito all’applicazione delle Dat, quando ha dichiarato che garantirà l’esercizio dell’obiezione di coscienza sulle Dat a medici e strutture cattoliche. Il valore delle dichiarazioni del ministro Lorenzin è evidentemente solo politico, risultando privo di qualsiasi significanza ed effetto sul piano giuridico. Questo per due ragioni: a) in punto di diritto, si osserva che non esiste nel nostro ordinamento una norma generale che preveda un diritto soggettivo all'obiezione di coscienza nel senso precisato dal codice di deontologia medica: per l'effetto in assenza di una norma primaria speciale che lo preveda (come nella L.194/78), nessun atto che non risulti approvato dal Parlamento può stabilire nel caso specifico l'integrazione della norma di fonte legislativa; b) in punto di fatto, sarebbe curioso capire quale dovrebbe essere il contenuto di un siffatto diritto. Infatti, posto che la legge sul biotestamento assicura la libertà terapeutica (di curarsi e non curarsi), l'obiezione di coscienza si tradurrebbe nella condotta del medico che contro la volontà del paziente (nel frattempo divenuto incapace) validamente espressa a termine di legge, imporrebbe allo stesso una terapia che espressamente era stata esclusa, insomma una sorta di TSO sull'incapace di intendere e volere. Una prospettiva aberrante che pure il Ddl Calabro aveva previsto, limitandosi però solo alla nutrizione e idratazione artificiale e che in questo caso varrebbe invece per tutte le terapie che il medico ritenesse conformi al proprio convincimento! Sarebbe non solo la fine dell'alleanza terapeutica medico-paziente, ma un salto indietro a prima della sentenza sul "caso Massimo", al più bieco paternalismo medico ormai messo in archivio dall'esperienza contemporanea a livello nazionale ed europeo. Sicuramente deve escludersi, alla luce dei principi sull’interpretazione posti nel codice civile e delle elaborazioni della giurisprudenza e della dottrina, che la legge sulle disposizioni anticipate di trattamento consenta l’obiezione di coscienza. Peraltro il diritto costituzionale al rifiuto e all’interruzione delle cure è riaffermato nell’art. 1 della recente legge, al VI comma, in modo chiarissimo, e non potrebbe essere diversamente. L’equivoco nasce da una lettura non corretta della diversa norma che non consente al paziente di imporre al medico autoprescrizioni che siano in contrasto con disposizioni di legge o con il codice deontologico (un esempio per tutti: il paziente non può esigere la pratica dell’elettroshock). Quindi, il paziente può rifiutare qualsiasi trattamento, senza che il medico possa obiettare; non può imporre, per altro verso, trattamenti da lui scelti unilateralmente. E’ appena il caso di ricordare che le norme costituzionali e la legge ordinaria non possono essere modificate da atti amministrativi, come quelli che il Ministro della Salute dichiara di voler adottare. Dal ministro della Salute Beatrice Lorenzin ci aspettiamo che garantisca quanto prevede la legge sul biotestamento all'art. 1 comma 9: «Ogni struttura sanitaria pubblica o privata garantisce con proprie modalità organizzative la piena e corretta attuazione dei princìpi di cui alla presente legge, assicurando l’informazione necessaria ai pazienti e l’adeguata formazione del personale». Un impegno affinché sia fatta corretta informazione e che il Ssn fornisca cure adeguate e garanzia di libertà di scelta come previsto dalle leggi in vigore nel nostro Paese. Violare una legge comporta responsabilità che il nostro ordinamento identifica e punisce e noi siamo pronti a difendere in sede giudiziaria il diritto di vedere affermate le proprie Dat così come previste per legge.   Filomena Gallo, avvocato, segretario associazione Luca Coscioni Gianni Baldini, avvocato, prof. di Diritto privato e docente di Biodiritto, Università di Firenze Gian Giacomo Pisotti, già presidente della sezione civile della Corte d’Appello di Cagliari

Dopo un’attesa durata 32 anni, gli italiani – dal 14 dicembre 2017- hanno una legge sul testamento biologico: per dare le cosiddette disposizioni anticipate di trattamento (Dat).

Finalmente una legge che riconosce il rispetto della libertà della persona, anche per quando non si sarà più in grado di scegliere. Questo è un testo di legge che eviterà altri casi come quello di Eluana Englaro; ma anche ricorsi ai tribunali come per Walter Piludu, Giovanni Nuvoli e Piergiorgio Welby, oggi è più chiaro che si ha il diritto – regolato da una legge – per potere rinunciare ai trattamenti sanitari in corso. Il Parlamento, infatti, ha trasformato in testo normativo quello che la giurisprudenza degli ultimi anni ha dovuto assicurare in assenza di una legge attraverso le tutele assicurate dagli artt. 13 e 32 della Costituzione. In particolare dove si afferma che la «libertà personale è inviolabile e nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge”, peraltro nella garanzia che questa non possa “in nessun caso violare i limiti imposti dal rispetto della persona umana».

Sembrano, dunque, fuori dal tempo (non solo fuori tempo) le dichiarazioni del ministro della Salute, Beatrice Lorenzin, all’indomani dell’approvazione della legge in merito all’applicazione delle Dat, quando ha dichiarato che garantirà l’esercizio dell’obiezione di coscienza sulle Dat a medici e strutture cattoliche.

Il valore delle dichiarazioni del ministro Lorenzin è evidentemente solo politico, risultando privo di qualsiasi significanza ed effetto sul piano giuridico. Questo per due ragioni:

a) in punto di diritto, si osserva che non esiste nel nostro ordinamento una norma generale che preveda un diritto soggettivo all’obiezione di coscienza nel senso precisato dal codice di deontologia medica: per l’effetto in assenza di una norma primaria speciale che lo preveda (come nella L.194/78), nessun atto che non risulti approvato dal Parlamento può stabilire nel caso specifico l’integrazione della norma di fonte legislativa;

b) in punto di fatto, sarebbe curioso capire quale dovrebbe essere il contenuto di un siffatto diritto. Infatti, posto che la legge sul biotestamento assicura la libertà terapeutica (di curarsi e non curarsi), l’obiezione di coscienza si tradurrebbe nella condotta del medico che contro la volontà del paziente (nel frattempo divenuto incapace) validamente espressa a termine di legge, imporrebbe allo stesso una terapia che espressamente era stata esclusa, insomma una sorta di TSO sull’incapace di intendere e volere.

Una prospettiva aberrante che pure il Ddl Calabro aveva previsto, limitandosi però solo alla nutrizione e idratazione artificiale e che in questo caso varrebbe invece per tutte le terapie che il medico ritenesse conformi al proprio convincimento! Sarebbe non solo la fine dell’alleanza terapeutica medico-paziente, ma un salto indietro a prima della sentenza sul “caso Massimo”, al più bieco paternalismo medico ormai messo in archivio dall’esperienza contemporanea a livello nazionale ed europeo. Sicuramente deve escludersi, alla luce dei principi sull’interpretazione posti nel codice civile e delle elaborazioni della giurisprudenza e della dottrina, che la legge sulle disposizioni anticipate di trattamento consenta l’obiezione di coscienza.

Peraltro il diritto costituzionale al rifiuto e all’interruzione delle cure è riaffermato nell’art. 1 della recente legge, al VI comma, in modo chiarissimo, e non potrebbe essere diversamente. L’equivoco nasce da una lettura non corretta della diversa norma che non consente al paziente di imporre al medico autoprescrizioni che siano in contrasto con disposizioni di legge o con il codice deontologico (un esempio per tutti: il paziente non può esigere la pratica dell’elettroshock). Quindi, il paziente può rifiutare qualsiasi trattamento, senza che il medico possa obiettare; non può imporre, per altro verso, trattamenti da lui scelti unilateralmente. E’ appena il caso di ricordare che le norme costituzionali e la legge ordinaria non possono essere modificate da atti amministrativi, come quelli che il Ministro della Salute dichiara di voler adottare.

Dal ministro della Salute Beatrice Lorenzin ci aspettiamo che garantisca quanto prevede la legge sul biotestamento all’art. 1 comma 9: «Ogni struttura sanitaria pubblica o privata garantisce con proprie modalità organizzative la piena e corretta attuazione dei princìpi di cui alla presente legge, assicurando l’informazione necessaria ai pazienti e l’adeguata formazione del personale». Un impegno affinché sia fatta corretta informazione e che il Ssn fornisca cure adeguate e garanzia di libertà di scelta come previsto dalle leggi in vigore nel nostro Paese. Violare una legge comporta responsabilità che il nostro ordinamento identifica e punisce e noi siamo pronti a difendere in sede giudiziaria il diritto di vedere affermate le proprie Dat così come previste per legge.

 

Filomena Gallo, avvocato, segretario associazione Luca Coscioni

Gianni Baldini, avvocato, prof. di Diritto privato e docente di Biodiritto, Università di Firenze

Gian Giacomo Pisotti, già presidente della sezione civile della Corte d’Appello di Cagliari