Dalla relazione annuale sulla legge 194 emerge che la priorità per la titolare della Salute consiste nell’evitare che una donna decida di interrompere una gravidanza. Tutto il suo impegno è finalizzato a impedire scelte autonome. Anche riguardo alla contraccezione

Finalmente, con quasi un anno di ritardo e in piena campagna elettorale, è stata pubblicata la relazione sullo stato di applicazione della legge 194. Al di là dei trionfalismi e delle autocelebrazioni di un dicastero che ha sempre agito nel campo della salute riproduttiva con i filtri ideologici del “primato della maternità” e della negazione del diritto delle persone alla autodeterminazione, emerge chiara la assoluta non disponibilità ad affrontare le criticità che dalla stessa relazione emergono.

Siamo, secondo la relazione, tra i Paesi con il più basso tasso di abortività, e questo viene attribuito, almeno in parte, all’abolizione dell’obbligo di prescrizione medica per la contraccezione di emergenza ormonale (le cosiddette pillole “del giorno dopo” e “dei cinque giorni dopo”), le cui vendite in due anni sono più che decuplicate. Sarebbe stato logico, dunque, sulla base di questa osservazione, rimuovere l’obbligo di prescrizione per le ragazze minorenni, e permettere la distribuzione gratuita di tali contraccettivi nei consultori, dove questa domanda può essere legata ad un discorso più ampio di promozione della salute e di una sessualità consapevole, libera e identitaria.

Per quanto riguarda la metodica farmacologica, il ministro Lorenzin riferisce che i dati, «simili a quanto rilevato in altri Paesi, sembrano confermare la sicurezza di questo metodo». È chiara l’ostilità ideologica insita in quel “sembrano”, che vuole mettere in dubbio l’evidenza; è l’ostilità verso una metodica che ha al suo centro l’autonomia decisionale della donna, una bestemmia per i teorici delle fattrici di Stato. Tale ostilità ha ispirato le attuali linee di indirizzo del ministero per l’Interruzione volontaria di gravidanza (Ivg) farmacologica che impongono il regime di ricovero ordinario. Alla luce dell’evidenza – che ci viene dai Paesi che hanno in questo campo un’esperienza ormai trentennale e che prevedono tutti il regime ambulatoriale o addirittura a domicilio per le gravidanze fino a 7 settimane – Lorenzin avrebbe dovuto da tempo…

L’articolo della ginecologa Anna Pompili prosegue su Left in edicola


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