La “memoria” è qualcosa di estremamente importante, diversa dal ricordo, che pure è di grande rilievo. Il ricordo è legato più a un fatto privato, mentre la memoria - fatta anche di ricordi e di affetti - è soprattutto conoscenza e riflessione. La memoria ci consente di ricordare fatti del passato per cercare di capirli, e trarne indicazioni valide anche per il presente. La memoria è fondamentale per la collettività. Un Paese senza memoria è un Paese condannato a deperire. La memoria si condensa, nei monumenti, nei simboli, nelle intitolazioni delle strade ed anche in tutti quei fatti storici la cui conoscenza dovrebbe costituire la base della convivenza civile di ogni Paese. Lo storico Giovanni De Luna ha scritto un libro molto importante, La repubblica del dolore, in cui sottolinea un difetto della nostra Repubblica, e cioè che si ricordano i caduti delle guerre con corone, celebrazioni, senza meditare a sufficienza sul significato di quelle morti. La riflessione sui fatti storici è fondamentale soprattutto per le nuove generazioni, che non hanno vissuto quei tempi e vogliono capire. Per questo motivo bisogna porci il problema di comunicare, sempre e comunque. Faccio un esempio: io sono di Milano dove la strage di piazza Fontana è rimasta nella memoria della città. Ogni anno, quando ricorre l’anniversario della strage, il 12 dicembre, invito i direttori dei giornali, a raccontare ancora quei fatti, anche se sembra ripetitivo. Bisogna spiegare perché un giorno è scoppiata una bomba e sono morte tante persone innocenti; bisogna continuare a spiegarlo, sempre, perché ogni anno ci saranno altri giovani che non sanno ancora nulla di quella vicenda. La memoria, deve promuovere la conoscenza e non l’odio. La memoria ha due grandi nemici. Il primo è il tempo, il cui decorso tende a cancellarla o comunque a sfumarla; poi ci sono i negazionisti e i revisionisti, quelli cioè che vogliono deformare la storia a loro piacimento, arrivando perfino a negare l’esistenza dei campi di concentramento. Per fortuna ci sono anche persone che continuano a chiedere e vorrebbero sapere come si sia potuti arrivare fino a quel punto, e soprattutto si domandano cosa si può fare perché queste tragedie non accadano mai più. La memoria è dunque un momento centrale nella vita delle persone e di una nazione, e dobbiamo fare in modo che si arricchisca e si diffonda sempre più, perché tra non molto i testimoni di una delle pagine più belle della storia d’Italia, la Resistenza, non ci saranno più, per ovvie ragioni di età. Quando finirà questo modo di tramandare la storia in maniera diretta, sarà un problema se la memoria non si sarà radicata solidamente. Non bastano i luoghi della memoria, i segni della memoria, pur importanti, occorrono soprattutto ricerche, studi storici e diffusione di conoscenze. A proposito di fascismo e nazismo, è difficile che la storia si ripeta nello stesso modo, ma alcuni sintomi che provengono dalla società devono far scattare l’allarme. E sono proprio la memoria e la storia ad indicarci i segnali a cui prestare attenzione e quali gli antidoti da mettere in campo. Oggi, il nostro Paese si trova in una fase difficile. Un grande scrittore e amico, Corrado Stajano, lo ha descritto come «Un Paese smarrito», che sta perdendo la memoria e la consapevolezza dei suoi valori e princìpi, e quindi perde anche se stesso. I nemici della memoria vanno combattuti anche nelle scuole, dove si insegna la storia solo fino a un certo periodo. Le istituzioni non si preoccupano abbastanza di conservarla e stimolarne la conoscenza. Eppure i ragazzi, che spesso sono dipinti come “sdraiati” - e ciò, non è esatto - avrebbero bisogno di essere stimolati anche attraverso la spiegazione degli eventi. Qualche giorno fa sono andato in un polo scolastico a Grosseto, per parlare della Costituzione del suo valore oggi e del suo legame con la Resistenza. C’erano centinaia di ragazzi e ragazze, attentissimi, che hanno fatto molte domande. Penso che momenti di questo tipo, di incontro e scambio reciproco, dovrebbero ripetersi in tutte le scuole. È così che si forma il cittadino, che non solo deve conoscere la Costituzione e le leggi, ma deve sapere anche da dove provengono, quali sono le fonti e i princìpi ispiratori. Solo così una persona diventa un cittadino, altrimenti resta un suddito. È chiaro che la politica dovrebbe fare molto più di quanto stia facendo: prima di tutto dovrebbe dare esempi migliori e poi occuparsi di più di un problema specifico, tutto nostro; di un Paese che non ha fatto, mai, fino in fondo bene i conti con il fascismo. Basti pensare che una legge del 1952, che porta il nome di un politico che non brillava certo per essere un grande democratico, Scelba, recita all’articolo 9, che la Repubblica è impegnata a far conoscere, nelle scuole, che cosa sia stata la Resistenza e cosa sia stato soprattutto il fascismo. Questa norma non è mai stata applicata da nessun Governo e da nessun ministro dell’Istruzione; non solo, è addirittura ignorata, al punto che quando la cito vedo sempre facce sorprese attorno a me. Se le istituzioni e i partiti facessero quello che li impegna a fare la Costituzione, dovrebbero curare la memoria che è il fondamento della vita civile e quindi anche della vita politica e della partecipazione. 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L'editoriale del presidente emerito Anpi, Carlo Smuraglia, è tratto da Left in edicola

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La “memoria” è qualcosa di estremamente importante, diversa dal ricordo, che pure è di grande rilievo. Il ricordo è legato più a un fatto privato, mentre la memoria – fatta anche di ricordi e di affetti – è soprattutto conoscenza e riflessione. La memoria ci consente di ricordare fatti del passato per cercare di capirli, e trarne indicazioni valide anche per il presente. La memoria è fondamentale per la collettività. Un Paese senza memoria è un Paese condannato a deperire. La memoria si condensa, nei monumenti, nei simboli, nelle intitolazioni delle strade ed anche in tutti quei fatti storici la cui conoscenza dovrebbe costituire la base della convivenza civile di ogni Paese. Lo storico Giovanni De Luna ha scritto un libro molto importante, La repubblica del dolore, in cui sottolinea un difetto della nostra Repubblica, e cioè che si ricordano i caduti delle guerre con corone, celebrazioni, senza meditare a sufficienza sul significato di quelle morti. La riflessione sui fatti storici è fondamentale soprattutto per le nuove generazioni, che non hanno vissuto quei tempi e vogliono capire. Per questo motivo bisogna porci il problema di comunicare, sempre e comunque.

Faccio un esempio: io sono di Milano dove la strage di piazza Fontana è rimasta nella memoria della città. Ogni anno, quando ricorre l’anniversario della strage, il 12 dicembre, invito i direttori dei giornali, a raccontare ancora quei fatti, anche se sembra ripetitivo. Bisogna spiegare perché un giorno è scoppiata una bomba e sono morte tante persone innocenti; bisogna continuare a spiegarlo, sempre, perché ogni anno ci saranno altri giovani che non sanno ancora nulla di quella vicenda. La memoria, deve promuovere la conoscenza e non l’odio. La memoria ha due grandi nemici. Il primo è il tempo, il cui decorso tende a cancellarla o comunque a sfumarla; poi ci sono i negazionisti e i revisionisti, quelli cioè che vogliono deformare la storia a loro piacimento, arrivando perfino a negare l’esistenza dei campi di concentramento.

Per fortuna ci sono anche persone che continuano a chiedere e vorrebbero sapere come si sia potuti arrivare fino a quel punto, e soprattutto si domandano cosa si può fare perché queste tragedie non accadano mai più. La memoria è dunque un momento centrale nella vita delle persone e di una nazione, e dobbiamo fare in modo che si arricchisca e si diffonda sempre più, perché tra non molto i testimoni di una delle pagine più belle della storia d’Italia, la Resistenza, non ci saranno più, per ovvie ragioni di età. Quando finirà questo modo di tramandare la storia in maniera diretta, sarà un problema se la memoria non si sarà radicata solidamente. Non bastano i luoghi della memoria, i segni della memoria, pur importanti, occorrono soprattutto ricerche, studi storici e diffusione di conoscenze. A proposito di fascismo e nazismo, è difficile che la storia si ripeta nello stesso modo, ma alcuni sintomi che provengono dalla società devono far scattare l’allarme. E sono proprio la memoria e la storia ad indicarci i segnali a cui prestare attenzione e quali gli antidoti da mettere in campo. Oggi, il nostro Paese si trova in una fase difficile.

Un grande scrittore e amico, Corrado Stajano, lo ha descritto come «Un Paese smarrito», che sta perdendo la memoria e la consapevolezza dei suoi valori e princìpi, e quindi perde anche se stesso. I nemici della memoria vanno combattuti anche nelle scuole, dove si insegna la storia solo fino a un certo periodo. Le istituzioni non si preoccupano abbastanza di conservarla e stimolarne la conoscenza. Eppure i ragazzi, che spesso sono dipinti come “sdraiati” – e ciò, non è esatto – avrebbero bisogno di essere stimolati anche attraverso la spiegazione degli eventi. Qualche giorno fa sono andato in un polo scolastico a Grosseto, per parlare della Costituzione del suo valore oggi e del suo legame con la Resistenza. C’erano centinaia di ragazzi e ragazze, attentissimi, che hanno fatto molte domande. Penso che momenti di questo tipo, di incontro e scambio reciproco, dovrebbero ripetersi in tutte le scuole.

È così che si forma il cittadino, che non solo deve conoscere la Costituzione e le leggi, ma deve sapere anche da dove provengono, quali sono le fonti e i princìpi ispiratori. Solo così una persona diventa un cittadino, altrimenti resta un suddito. È chiaro che la politica dovrebbe fare molto più di quanto stia facendo: prima di tutto dovrebbe dare esempi migliori e poi occuparsi di più di un problema specifico, tutto nostro; di un Paese che non ha fatto, mai, fino in fondo bene i conti con il fascismo. Basti pensare che una legge del 1952, che porta il nome di un politico che non brillava certo per essere un grande democratico, Scelba, recita all’articolo 9, che la Repubblica è impegnata a far conoscere, nelle scuole, che cosa sia stata la Resistenza e cosa sia stato soprattutto il fascismo. Questa norma non è mai stata applicata da nessun Governo e da nessun ministro dell’Istruzione; non solo, è addirittura ignorata, al punto che quando la cito vedo sempre facce sorprese attorno a me. Se le istituzioni e i partiti facessero quello che li impegna a fare la Costituzione, dovrebbero curare la memoria che è il fondamento della vita civile e quindi anche della vita politica e della partecipazione.

L’editoriale del presidente emerito Anpi, Carlo Smuraglia, è tratto da Left in edicola


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