Il magistrato che per una vita si è occupato di salute e sicurezza denuncia: «Serve più prevenzione nelle imprese, più controlli degli ispettori e processi più veloci». E ai politici: «Attenzione a fare le leggi, quella sul lavoro agile non è chiara»

«Me lo ricordo ancora. Quando ho cominciato a lavorare in questo settore, un procuratore generale della Cassazione nel suo discorso inaugurale disse: «Gli infortuni sul lavoro sono una fatalità». Il clima era questo, racconta Raffaele Guariniello. Da allora, primi anni Settanta, di passi in avanti a proposito dei diritti dei lavoratori in tema di sicurezza, ne sono stati fatti. E in questa attività della magistratura il procuratore torinese è stato un protagonista fino al 2015, quando è andato in pensione. Dall’inchiesta sulle schedature dei dipendenti Fiat nel 1970 al processo Eternit e a quello ThyssenKrupp, Guariniello è sempre in prima fila. «Facendo certi processi non ho risolto il problema, ma l’ho messo in luce», dice, consapevole che c’è ancora molto da fare. E infatti continua a dare il suo contributo. Ora per esempio, è consulente della IV Commissione parlamentare sull’uranio impoverito che riguarda la salute dei dipendenti del ministero della Difesa. E naturalmente continua a proporre il suo progetto di Procura nazionale per la sicurezza sul lavoro.

Dottor Guariniello, partendo dai dati di cronaca, le morti sul lavoro sono aumentate. Come lo spiega?
Sì, è vero, c’è stato di nuovo un rialzo degli infortuni mortali. Ma al di là dei livelli di occupazione e delle variazioni minime, alla fin fine c’è uno zoccolo duro di casi che purtroppo non tende a diminuire drasticamente. Un altro dato su cui è il caso di meditare è che gli infortuni interessano soprattutto le persone più anziane.

Che cosa significa?

Se si prende in considerazione l’età, si potrebbe obiettare – e molte imprese lo fanno – che la causa determinante può essere il comportamento del lavoratore. Ma il comportamento incauto e negligente ha rilevanza solo se il datore di lavoro ha fatto tutto quel che doveva fare. Quindi l’eventuale negligenza del lavoratore non porta mai ad escludere la responsabilità del datore di lavoro. Ma c’è un altro punto importante.

Quale?

Nel testo unico sulla sicurezza sul lavoro, il decreto 81/2008, l’articolo 20, al comma 1 stabilisce l’obbligo generale del lavoratore a tutelare la propria salute e sicurezza. Il lavoratore è non solo creditore ma anche debitore di sicurezza, ma a condizione che sia adeguatamente formato. Naturalmente per formazione non si intende quella formale, burocratica che viene spesso praticata dalle imprese, ma quella che si chiama effettiva, cioè che per esserlo comporta la verifica dell’apprendimento nell’ordinaria prassi di lavoro. Cosa che purtroppo non accade e qui ritorna sempre l’importanza del comportamento delle imprese.

Lei lo scrive anche nel suo libro La giustizia non è un sogno, le leggi ci sono. Che cosa manca?

Mancano soprattutto due cose. La prima è che sì, ci sono le leggi, ma per farle applicare dalle imprese bisogna che ci sia un’azione di vigilanza. E poi c’è il problema dei processi che sono troppo lunghi. Partiamo dalla vigilanza: se ne devono occupare le Asl, ma purtroppo gli ispettori sono pochi. Quando un ispettore va in un cantiere, per esempio, non si può limitare a dare uno sguardo e a vedere, che so, se in un ponteggio manca qualcosa. No, bisogna capire quali sono le responsabilità, in quel cantiere, in tema di sicurezza, e già questo significa fare prevenzione. Bisogna studiare il piano di sicurezza, il coordinamento, il piano operativo: non basta certo una giornata. Vede, io li ho visti i verbali di contravvenzioni: spesso vengono riportate due o tre violazioni, ma non i problemi profondi, reali. Il dramma del nostro Paese sono proprio i cantieri: ci sono tante figure, il datore di lavoro dell’impresa esecutrice, il committente, l’eventuale responsabile dei lavori, il coordinatore. L’ispettore deve capire quali provvedimenti nella realtà sono stati adottati, deve studiare i retroscena del cantiere.

Cosa bisogna fare perché la prevenzione funzioni?

Occorre un numero congruo di ispettori che siano però adeguatamente formati. Poi bisogna superare il problema della frammentazione della vigilanza: il rischio è che ogni Asl diventi una repubblica autarchica. Adesso c’è questo nuovo organismo su cui si faceva un grande affidamento, l’Ispettorato nazionale del lavoro, ma gli operatori sono pochi e i mezzi sono scarsi. Perché la vigilanza funzioni ci sono altri aspetti da considerare. Gli ispettori non devono mai mescolare l’attività di vigilanza con quella di consulenza. Un altro è che quando un ispettore è molto incisivo deve essere premiato. E poi è fondamentale il rapporto tra ispettori e magistrati che non devono operare a compartimenti stagni. Noi una volta al mese facevamo una riunione con tutti gli ispettori e ci si confrontava su tutti i problemi.

E perché l’azione della magistratura sia efficace?

Questo è il secondo aspetto fondamentale. Le cose, devo dire, non stanno andando molto bene. Leggendo le sentenze della Cassazione in tema di sicurezza sul lavoro si vede che molte volte si esamina l’infortunio quando il reato ormai è già prescritto. Il problema è drammatico. Questi sono processi complicati ma c’è troppa lentezza e purtroppo ci sono settori e zone in Italia in cui nemmeno si riescono a fare. La maggior parte delle procure della Repubblica non è in grado di operare, non perché i magistrati non siano bravi, ma perché manca un’organizzazione specializzata. Se esistesse, si eviterebbe l’archiviazione. Ma ci vorrebbe una filosofia completamente diversa. Oggi purtroppo la magistratura non può dare un intervento sistematico in tutte le parti del Paese e così si diffonde un senso di giustizia negata per quando riguarda le vittime. E per quanto riguarda le imprese, si diffonde l’idea che se violi le norme te la puoi cavare.

Perché la sua proposta di una Procura nazionale per la sicurezza sul lavoro non viene concretizzata?

Io mi sono fatto un’idea e le posso rispondere con una battuta: c’è il timore che funzioni.

Si va a toccare qualcosa di estremamente delicato?

Eh sì… Comunque per me è stata molto importante l’esperienza della ThyssenKrupp. Dopo un processo durato quasi dieci anni, alla fine però è stata scritta una sentenza di condanna definitiva per queste persone. Quindi, nessuna prescrizione. Il segreto qual è? Il fatto che le indagini sono state concluse in due mesi e mezzo e questo grazie a un’organizzazione specialistica. Questi processi sui temi del lavoro che poi si sono estesi anche all’ambiente – perché un disastro sul lavoro lo è anche sull’ambiente – sono complicati. Ma se non si vuole fare una Procura nazionale si faccia almeno un’agenzia nazionale. E poi c’è un ulteriore aspetto che va toccato. Non servono nuove leggi, ma quando si fa una legge in questa materia, il lavoro, la si faccia bene.

A quale legge sul lavoro si riferisce?

È la legge 81 del 2017 che introduce una nuova forma di lavoro che viene chiamata lavoro agile. Ora va detto che l’Unione europea ci sta mettendo di fronte una serie di rischi che chiama emergenti e che sono legati all’esternalizzazione del lavoro. Molte sentenze infatti si occupano di infortuni di lavoratori al di fuori della loro azienda. Chi tutela la sicurezza di un dipendente distaccato? Questo è il problema che oggi sta tormentando le aziende. Stando alla giurisprudenza prima di distaccare un dipendente presso un’altra azienda un datore di lavoro dovrebbe andare in quell’azienda e valutare i rischi, se non lo fa è responsabile. La legge 81 introduce questa nuova forma di lavoro subordinato che si può svolgere in parte nei locali aziendali e in parte fuori, ma non chiarisce come si debba tutelare la sicurezza dei lavoratori. Il datore di lavoro deve dare un documento in cui descrive i rischi che avrà, ma per dirlo cosa deve fare? Non si capisce.

Più il lavoro è precario e flessibile e meno c’è sicurezza. È giusto il nesso?

È giustissimo. La legge dice che bisogna valutare i rischi tenendo conto del tipo di contratto. Quindi quando si parla di lavoratori somministrati, gli ex interinali, che possono lavorare una settimana in un’azienda e poi in un’altra, con lo stesso lavoro ma in un ambiente diverso, c’è bisogno più che mai di formazione. Invece accade il contrario. La durata del lavoro rende ancora più pesante la gravità dell’inadempimento e infatti gli infortuni che capitano ai lavoratori somministrati sono le cose peggiori, perché non vengono formati. E sapesse quanti infortuni capitano nei primi giorni di lavoro!

Dottor Guariniello, i diritti a salute e sicurezza di un lavoratore saranno tutelati?

Io spero che si cominci a metter in luce questa serie di mali, a cui bisogna porre rimedio, della pubblica amministrazione, della giustizia e della sede parlamentare. Quando comincerò a vedere che questi argomenti si trattano, allora comincerò a dire che ci si sta pensando… Ma finché non si occupano di questo problema il ministro della Giustizia e nemmeno il ministro del Lavoro e le Regioni, allora è inutile che tutti piangano quando capita una tragedia sul lavoro. È il solito rituale, poi il giorno dopo è già finito tutto.

L’intervista di Donatella Coccoli a Raffaele Guariniello è uscita su Left del 2 febbraio 2018


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